La Nuova Sardegna

L’Anief: «I prof dovranno fare ricorso»

di Andrea Scutellà
L’Anief: «I prof dovranno fare ricorso»

L’applicazione della pronuncia di ieri non è automatica. Anche gli assunti potranno citare lo Stato

27 novembre 2014
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ROMA. «Quella scritta oggi è una pagina storica che pone fine alla precarietà nella scuola e in tutto il pubblico impiego», sono le prime parole del presidente dell’Anief Marcello Pacifico dopo la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea. Il sindacato che presiede, fondato nel 2008, fu il primo a promuovere i ricorsi ai giudici del lavoro e, in seguito, alla Corte europea, nonostante la Direttiva Ce sul tempo determinato fosse del 1999.

Quali scenari apre questa sentenza per il governo e per i precari?

«Dal piano del ministero “La buona scuola” restano fuori 120 mila docenti, di cui la metà ha il requisito per l’assunzione dei 36 mesi di contratti precari. Inoltre ci sono circa 20 mila tecnici e amministrativi per cui non è prevista la stabilizzazione, ma che, secondo la Corte, ne hanno diritto. Anche chi sarà assunto può citare lo Stato per inadempienza e i precari possono richiedere il pagamento degli scatti d’anzianità: non si può discriminare il lavoro a tempo determinato. Ci saranno risvolti su tutto il pubblico impiego, il verdetto non riguarda solo la scuola».

Come si applica la sentenza?

«A meno che il governo non stabilizzi tutti quelli che hanno diritto, l’unico modo è fare ricorso ai tribunali del lavoro».

Come è iniziata la vostra battaglia?

«Tutto nasce da una denuncia fatta sulle pagine di Repubblica nel 2010: la direttiva Ce, fino a quel momento, non era stata applicata. I primi ricorsi ai tribunali del lavoro li abbiamo fatti nel 2011. Nel frattempo l’Ue ha attivato autonomamente una procedura di infrazione (ancora aperta, ndr) per la stabilizzazione del personale tecnico e amministrativo. I ricorsi sono divenuti sempre più numerosi e anche gli altri sindacati ci hanno seguito».

Quando tutto va per il meglio, però, arriva la legge 106...

«Si sosteneva che nella scuola fosse impossibile applicare la direttiva europea per tre ragioni: il precariato dà la possibilità agli insegnanti avere punti in graduatoria, non è possibile prevedere i numeri degli organici e, infine, per questioni di bilancio. Ma il giudice Coppola di Napoli ha rimesso la questione a Lussemburgo, seguito anche dalla Corte costituzionale. Nel marzo del 2014 la Commissione europea si è espressa in una memoria, sottolineando l’insussistenza delle ragioni oggettive: i punti in graduatoria non sono assunzioni, gli organici sono prevedibili e il bilancio non può comprimere il diritto dei lavoratori. Poi, la sentenza storica di ieri».

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