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Cagliari, corte d’appello: “L’ambulante morto è un caso di malasanità"

Cagliari, corte d’appello: “L’ambulante morto è un caso di malasanità"

Gli psichiatri sono stati assolti, ma secondo i giudici il paziente "senza ricovero sarebbe ancora vivo"

13 dicembre 2013
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CAGLIATI. La morte dell'ambulante Giuseppe Casu è stata provocata "dalla condotta gravemente colposa degli imputati Giampaolo Turri e Maria Cantone, ma l'impossibilità di stabilire le cause della morte per la sopravvenuta sparizione dei reperti non consente di fare un collegamento di causa effetto tra la condotta colposa dei medici e l'evento".

E' questa la motivazione per la quale i giudici della Corte d'Appello hanno assolto i due medici del reparto di psichiatria del Santissima Trinità, a Cagliari, con la formula che corrisponde all'insufficienza di prove.

A salvarli da una condanna per omicidio colposo, richiesta con forza dalla Procura nei due gradi del giudizio, non è stata dunque la loro estraneità a quella fine così assurda, ma soltanto l'aiuto arrivato dal collega anatomopatologo Antonio Maccioni, condannato in appello per aver fatto sparire i reperti anatomici dell'ambulante in modo che la Procura e in fin dei conti i giudici non potessero stabilire la vera causa della morte.

Durissima, malgrado l'assoluzione, la tesi sostenuta dai giudici Antonio Onni, Giovanni Lavena e Maria Angioni in venticinque pagine di motivazione che faranno certamente discutere.

Per la Corte quello avvenuto all'ospedale di Is Mirrionis - dove Giuseppe Casu è morto nel 2006 dopo una settimana di ricovero in cui venne sedato e legato al letto senza alcun motivo reale, dopo una sfuriata avvenuta in una strada di Quartu - é stato un caso "macroscopico di mala sanità".

Per i tre magistrati "gli imputati hanno manifestato e rivelato evidenti profili di colpa per negligenza e imperizia, potendo conclusivamente affermarsi che il trattamento sanitario riservato al Casu è stato caratterizzato da un'eccessiva e prolungata contenzione, da un'altrettanto invasiva sedazione e da un prolungato accanimento farmacologico, il tutto attuato senza curarsi minimamente di monitorare le sue condizioni, così integrando un caso macroscopico di malasanità".

Ma "una sentenza di condanna - osservano i giudici - sarebbe palesemente priva di rigore scientifico". Mancano infatti per la Corte d'Appello "leggi scientifiche che sul piano causale collegassero in modo apprezzabile e in ogni caso statisticamente rilevante l'assunzione del farmaco Aloperidolo con la verificazione di eventi cardiaci acuti come quelli che determinarono la morte del Casu".

In sostanza non c'è la prova certa e inoppugnabile che la causa di morte indicata dall'accusa sia l'assunzione di quel farmaco. Eppure - scrivono i giudici nella motivazione - si può affermare con certezza che se il ricovero non fosse mai avvenuto Casu sarebbe ancora vivo". I medici della psichiatria l'hanno invece trattato come un alcolista malgrado non lo fosse, non l'hanno sottoposto a un elettrocardiogramma e neppure a unn esame ecografico.

Resta invece la condanna per Antonio Maccioni, primario di Anatomia patologica del Santissima trinità, colpevole in secondo grado di soppressione di parti di cadavere, frode processuale, favoreggiamento e falso. Con il medico è stato riconosciuto colpevole anche il tecnico di laboratorio Stefano Esu.

Nel gennaio 2007 il primario avrebbe fatto sparire i reperti dell'ambulante per poi sostituirli con quelli di un altro paziente, per evitare che venisse sconfessata la diagnosi con cui i colleghi della psichiatria avevano chiuso la pratica. (m.l)

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