La Nuova Sardegna

Intervista

Federico Ferrero: «Il tennis è ormai mainstream raccontiamolo come merita»

di Roberto Sanna
Federico Ferrero: «Il tennis è ormai mainstream raccontiamolo come merita»

Esce “Parlare al silenzio” del noto telecronista

06 maggio 2024
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i Roberto Sanna

Dai tempi della “Golden Age” del tennis e i racconti dei grandi inviati a uno sport diventato mainstream, con eserciti di telecronisti che commentano da studio partite giocate su tutti i continenti mentre gli stessi giocatori postano le loro parole sui social e diventano perfetti gestori della loro immagine. E nel tennis il telecronista cerca di non disturbare il religioso silenzio che cala durante il punto, rotto solo dal rumore della pallina. “Parlare al silenzio” è proprio il titolo del libro scritto per Add editore da Federico Ferrero, una delle voci più conosciute del tennis, telecronista prima di Eurosport e ora nella squadra di Sky, che racconta il suo viaggio professionale vissuto in un contesto che è cambiato alla velocità della luce anche fuori dal campo. «Quando ho cominciato ero un ragazzino che in sala stampa trovava tanti signori, alcuni dei quali molto famosi, mi sentivo fuori posto. Avevo tutto da imparare, volevo trovare un mio stile senza però copiare. Insomma, non è stato facilissimo».

La difficoltà maggiore in una telecronaca di tennis?

«Bisogna accompagnare senza importunare. Bisogna seguire il punteggio senza fare il fenomeno: il telecronista migliore è quello che se non c’è te ne accorgi ma non troppo».

Durante lo scambio si parla oppure si sta zitti?

«Non si parla, con le dovute eccezioni. L’importante è stimolare l’attenzione dello spettatore».

Numeri e statistiche sono importanti e ormai avete a disposizione una quantità mostruosa di dati: non c’è il rischio di abusarne?

«È così. Non se ne può fare a meno ma bisogna saperle leggere e utilizzare nei modi giusti. Senza ragionamenti “ex post” o cercare nei numeri quello che non c’è. Così come è inutile utilizzare tecnicismi esagerati, riempire la telecronaca di “inside out” e “inside in”, utilizzando magari il gergo che tennisti e allenatori usano tra loro. O banalità come “l’inerzia della partita” e la “resilienza” dei giocatori. Il linguaggio si è evoluto, ma non è migliorato».

Com’era la vita in sala stampa coi due mostri sacri Gianni Clerici e Rino Tommasi?

«Gianni Clerici aveva, soprattutto al primo impatto, dei modi snob, tendente al borghese aristocratico. E a buon diritto. Peraltro non mi ha mai parlato male di nessuno e, una volta presa confidenza, era uno spasso coi racconti delle sue avventure e serate. Rino Tommasi era gentile con tutti. Sapeva di essere un fuoriclasse ma parlava con chiunque e non se la tirava. Penso che coi social sarebbe stato a disagio, non aveva bisogno di promuovere i suoi pezzi per far sapere quanto fosse bravo».

Però hanno creato una lunga schiera di imitatori.

«Ho sentito cose grottesche, la telecronaca urlata è un male non necessario. Per carità, a volte ci vuole ma se il punteggio è 2-2 e 15-15 non mi sembra proprio il caso».

Nel libro racconta il suo viaggio professionale, con diversi aneddoti legati anche a quei tempi: la differenza principale con il modo di fare le telecronache oggi?

«Il fatto di non muoversi più dallo studio. Se la telecronaca la fai sul posto, vivi le emozioni e le trasmetti a chi ascolta».

Il tennis è davvero diventato mainstream?

«Assolutamente. Sinner, per esempio, è diventato il metro di paragone di tutto. Questo sport resterà a lungo un fenomeno di massa, con le cose belle e brutte di queste situazioni. Ecco, se noi che lo raccontiamo abbiamo è rimasta ancora una piccola funzione può essere quella di moderare gli eccessi».

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