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Sommelier dell’olio: «Prima la qualità»

di Roberto Petretto
Sommelier dell’olio: «Prima la qualità»

L’unica docente è l’oristanese Antonella Orrù: l’extravergine sempre più importante in cucina

22 marzo 2024
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Non solo assaggiatori: anche l’olio ha i suoi sommelier. Formati, esaminati e diplomati come i loro colleghi che si occupano di vino. E infatti i “sommelier dell’olio” sono un settore della più grande casa della Fondazione italiana sommelier. Unica docente in Sardegna abilitata dalla Fis è un’oristanese, Antonella Orrù, produttrice di olio e titolare dell’Agriturismo Il Giglio di Massama.

Come si diventa sommelier dell'olio? «Bisogna seguire un corso di formazione organizzato dalla Fondazione. Durante il corso si impara tutto sulla produzione dell'olio d'oliva, dalle varietà di olive, ai processi di estrazione, alla conservazione, la chimica dell’olio, gli aspetti salutistici dell’olio e tanto altro».

Ma si impara soprattutto a valutare l'olio d'oliva attraverso l’analisi organolettica visiva olfattiva e gustativa: «Saper degustare è fondamentale per poi poter abbinare l’olio al cibo. Alla fine del corso, si sostiene un esame che include un test scritto una prova pratica di degustazione e un prova orale».

Requisiti del buon sommelier: passione per il mondo dell'olio d'oliva, un buon olfatto e gusto per percepire le caratteristiche dell’Evo. Intorno al mondo dell’olio extra vergine l’attenzione aumenta: «C’è maggior interesse dovuto all’importanza crescente che l’olio extravergine di oliva sta guadagnando nel mondo gastronomico. I grandi chef nei ristoranti, nelle pizzerie gourmet o in tv utilizzano oli di qualità monocultivar o blend che si differenziano per intensità di fruttato e li abbinano a diversi piatti».

Insomma, c’è olio e olio e c’è chi cerca di documentarsi: «Le persone, come avvenne per il vino, si incuriosiscono e vogliono saperne di più. I corsi sono frequentati da produttori, addetti alla ristorazione, venditori, appassionati o semplici consumatori tutti desiderosi di scoprire qualcosa in più sul mondo dell’olio».

L'olio sardo ha un posto di rilievo: «Sì, la Sardegna è oramai conosciuta a livello mondiale per produrre oli extravergine di oliva di eccellenza. Ogni anno ci sono aziende sarde che portano notevole lustro alla nostra isola vincendo i maggiori concorsi di questo settore. Io stessa sabato sarò a Roma per ritirare le 5 gocce Bibenda per il nostro olio Treslizos Semidana e per la DOP Sardegna Donna Marisa».

Così come per il vino, produrre un buon olio non è semplice: «Ci vogliono lavoro, passione e dedizione. Occorre accudire gli olivi e le olive durante tutto il processo produttivo, valorizzare le cultivar che sono espressione del nostro territorio, stare attenti alle modalità di trasporto che deve essere il più tempestivo possibile, affidarsi ad un frantoio innovativo che esalti le caratteristiche organolettiche degli oli».

E abituare al discorso della qualità a volte può essere cosa ugualmente difficile: «La maggior parte dei ristoratori non è interessata alla qualità – accusa Antonella Orrù –, ancora utilizzano le oliere che sono vietate o utilizzano bottiglie senza tappo antirabbocco di oli di annate precedenti. Utilizzano oli scadenti rovinando le pietanze perché secondo loro l’olio non porta guadagni. I ristoratori dovrebbero essere i primi a fare un corso di sommelier dell’olio». Infatti, mentre “a livello nazionale i ristoratori chiedono i servizi dei sommelier dell’olio, in Sardegna questo avviene di rado”.

In più ci si mette l’aumento dei prezzi: «Sta incidendo molto, e purtroppo le persone stanno riducendo il consumo e cercando alternative più economiche», Infine qualche consiglio: «Bisogna leggere bene le etichette, scegliere un olio dell’annata in corso, che sia un oevo italiano e prediligere oli DOP o IGP. Un olio di qualità deve avere caratteristiche di fruttato amaro e piccante. L’oevo oramai ha avuto un aumento importante a questo punto è meglio prediligere un olio prodotto da artigiani che credono nella qualità piuttosto che oli commerciali».

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