La Nuova Sardegna

Mamoiada capitale del vino, un nuovo orgoglio tra i filari

di Giacomo Mameli
Mamoiada capitale del vino, un nuovo orgoglio tra i filari

Duecento aziende, dodici imbottigliatori, 19 cantine e il progetto del consorzio Mamoià  

03 giugno 2017
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Il patriarca dei vignaioli, Giuseppe Sedilesu, 86 anni, controlla i lavori per l’impianto del nuovo vigneto (otto ettari) nella collina di Su Teulariu, dove un tempo si fabbricavano tegole. Sullo sfondo, verso Sarule, la punta isoscele di Gonare. Le campagne risplendono di verde. «Prato inglese», dice il ciclista Andrew Remington di Liverpool. «Prato sardo», replica Cosimo Sanna, sportivo sassarese che fa trekking in Barbagia. Terreno da disfacimento granitico, il sole è forte, un trattore prepara i solchi per i filari, vocio di operai felici, tutto squadrato da patiti della perfezione sotto lo squardo del vegliardo. Lui si regge su un bastone di olivastro, ha il viso segnato, sembra Ben Hur o il personaggio vivente di una xilografia di Giovanni Dotzo. Parole sagge, de senectute. «Ho sempre vissuto in campagna, tra vigne, orti, foreste e segherie, per 18 anni ho lavorato anche dai Vinci di Macomer ma la mia vita è qui, all’aria aperta. Insomma, so’ unu binzarèsu, sono un vignaiolo».

ORGOGLIO. Lo dice con l’orgoglio di chi sa – come scriveva Mario Soldati – che «dietro il vino c’è arte, passione, amore, conoscenza, sapienza». È lui il simbolo vivente dei vignerons barbaricini e che a Mamoiada hanno fatto scuola. Perché dopo Giuseppe Sedilesu, gesticono una delle due principali cantine private del paese i figli Francesco di 53 anni, Salvatore di 50 con il cognato Emilio Mulargiu. Ci lavora Elisabetta Gungui, laurea in Scienza della comunicazione, esperienze professionali tra Edimburgo, Malta e Irlanda. È lei a seguire almeno ventimila visitatori all’anno in questo stabilimento moderno all’ingresso del paese delle maschere. I numeri: venti ettari tra Garaunele e Morruzzone, ogni anno 130 mila bottiglie, 35 per cento di vendite in Sardegna, altrettanto in Italia, il restante oltre Oceano. Imbottigliano un Sedilesu riserva in nome del fondatore fino a un più abbordabile (nel prezzo) S’artiu.

CAPITANO CORAGGIOSO. Gusti per tutte le tasche. Etichette di qualità, da griffe. Con Sedilesu primeggia Giampietro Puggioni. È stato lui il capitano coraggioso a rilevare la vecchia cantina sociale degli anni ’60, acquistata nel 2002, ristrutturata con cura, colori caldi, cinque dipendenti, centomila bottiglie e 25 ettari di vigneto tra Làcana e Ilìsi. È dei Puggioni la bottiglia etnico-battagliera Mamuthone. Nomen omen. Sedilesu e Puggioni hanno fatto scuola. Perché oggi Mamoiada, da paese del carnevale, da paese di San Cosimo, è diventato più di altri il paese del vino. E che vino. Se lo cercate sfuso non meno di tre euro al litro, se lo cercate in bottiglie talvolta dovete mettere mano al bancomat. Ma ne vale la pena. Perché, in un villaggio di 2600 abitanti, gli imbottigliatori in regola sono addirittura diventati dodici. Riuniti in un consorzio che di nome fa “Mamoià”, segretario un ragazzo idealtipo di intraprendenza. Si chiama Luca Gungui, ha 32 anni, figlio unico di Agostino e Mariolina Sedda, laureato in Scienza della pubblica amministrazione. Diventato dottore lavora negli uffici del Comune di Milano. Si trasferisce a Cagliari e ha scrivania alla Regione, contrattualistica assessorato Affari Generali. Due anni fa la svolta. Radicale. «Tra un esame e l’altro venivo chiamato a rapporto in campagna dai miei nonni prima e da mio padre poi. Ho lavorato in mezzo alla polvere, sudato sotto il sole. Mi sono sporcato le mani tra i filari, ho sentito l’odore della terra bagnata e il rumore delle zappe. Non potevo permettere che tutto questo finisse. E ora non me ne voglio più andare».

TRA I FILARI. Vigneti a Sas de Melas guardati da un nuraghe possente, prossimo impianto a Sa ’e Pramas, il vino battezzato Berteru, che vuol dire veritiero in vino veritas. Avvio con 2500 bottiglie, quest’anno 13.500. «Le nostre bottiglie sono numerate a mano». Il Gambero Rosso conferma. E sul giornale diventa capitolo tra «piccoli produttori e grandi vini». Tra i filari c’è il padre. Nelle vigne vicine Raffaele Ballore e Tonino Busia. Con la competenza, Luca vende entusiasmo ragionato. Sembra di essere nel Monferrato o nel Chianti, terre di grande tradizione. Ha recuperato la stalla del nonno, le è rimasto il nome “Sa cantina”, tabernacolo enologico al centro del paese, botti antiche, macine, cestini, tini, torchio, il cortile col sedile di granito, una vecchia radio Phonola, il “De amicitia” di Cicerone, le “Riflessioni” di Simone Weil, “L’oro di Fraus” di Giulio Angioni, bottiglie rischiarate da una luce rubina.

GLI ANTENATI. Dice: «Sto cercando di dare valore alla sapienza dei miei antenati, agli antichi saperi che ci sono stati tramandati. Un grande tesoro. La terra è il mio futuro». Sul computer la pagina Facebook. Col consorzio Mamoià, Luca e soci vogliono valorizzare vino e territorio, «sono la stessa cosa». E come Luca parlano tutti gli altri binzaresos. Che sono una schiera, la più folta in Sardegna, con un paese che ha riscattato un passato buio e oggi, a pacificazione compiuta, dà un esempio virtuoso.
Sono duecento le aziende privatissime che producono in proprio.

PICCOLI MANAGER. E poi il team dei piccoli manager. Ha la cantina Francesco Cadinu, 52 anni, bottiglie Perdas Longas, tremila l’anno, tra un po’ le etichette De oro (moscato) e Tziu Simone (rosato). A vendere c’è Gonario Canu, 26 anni, con orgoglio mostra botti di castagno, i diplomi dell’Espresso. Vinifica anche la coppia Fabiana Gungui 40 anni e Salvatore Mele 37: vigne a Muzanu, per ora 500 bottiglie di Terras de Mamujada, mercato fra Cagliari e Barbagia, «imbottigliamo a Serdiana da Argiolas, ma anche noi creeremo la cantina». Resta l’imbarazzo della scelta con i vinficatori nati sotto Punta La Marmora. Dopo Sedilesu e Puggioni, dopo Gungui il dottore che ha scelto la vigna per la scrivania, si può continuare con Giovanni Montisci che ha vigna a Lorettattesu (qui l’ex sindaco Graziano Deiana aveva detto: «filari di cannonau tirati a lenza, non sbordano di un millimetro, la precisone nel filare è arte nel bicchiere»). A “Sa lacana”, verso Orgosolo, lavora Giampaolo Paddeu col vino Minneddu.

QUALITÀ. Si mette in proprio anche un figlio dei Sedilesu, Simone, 26 anni, tra Bau Orane e Fittiloghe. In squadra anche Pasquale Bonamici e Pietro Fele. C’è un altro Gungui, Dario, a Su ’hangu e Marco Canneddu a Elìsi. Stanno per entrare in squadra altre tre aziende entro il 2017 (in stand by Graziano Sanna col vino Berei), saliranno a sette il prossimo anno quando Mamoiada potrà contare su 19 minicantine strappando un record. Nella Sardegna dell’invidia atavica Mamoiada segna una svolta sociale con l’High School di Enologia. La concorrenza è competizione stimolante. C’è spazio basta darsi da fare, rispettare diritto pubblico e privato.

CAMBOSU E SOLDATI. Il segreto è la qualità dei prodotti, che si trovano tutti all’enoteca Andrea Cosseddu, 34 anni, promoter anche nel suo ristorante. Un mese fa ha organizzato una cena-degustazione con tutti i bianchi ottenuti dal vitigno autoctono Granazza e una bottiglia leader, Perda Pintà sulle bucce. Cin cin con VikeVike della cantina Sanna. Cin cin la settimana scorsa con esperti a Notte Nighedda, notte nera, in omaggio al colore del Cannonau con brani letterari sul vino rileggendo Deledda, Cambosu, Atzeni, Angioni, Montanaru, Mario Soldati, Peppino Fiori, Yourcenar, Valéry. Tra le mani un calice di cristallo rilasciato dal consorzio che ha approvato un disciplinare anche nel nome Mamuthone e che suona Mamoià.
 

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