La Nuova Sardegna

«Rilegalizzare la cannabis: dai malati al business»

La scelta di alcuni stati Usa nel film dell’economista-filmaker Francesco Bussalai Dall’uso millenario al proibizionismo e la lotta agli effetti della sclerosi multipla

23 aprile 2017
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di Marco Vitali

CAGLIARI

Se vuole creare dibattito, il film di Francesco Bussalai “Relegalized, un viaggio nella cannabis rilegalizzata” riesce nel suo intento.

Alla la prima cagliaritana, al Teatro Massimo, Gianluigi Gessa ha esordito dicendo: «Mi riconosco in tutto quello che ho detto ma non sono d’accordo su tutto quello che dice il film. Faccio un esempio: l’uso medico vuol dire dare a dei malati delle speranze che oggi non sono ancora certezze e non credo che un medico possa ordinare una canapa preparata in cucina da persone improbabili».

Una farmacista è intervenuta quindi per dire che il film apre loro prospettive interessanti dati problemi legati al riconoscimento del Cbd, principio attivo non riconosciuto come farmaco. In attesa che il dibattito prosegua al Senato il 29 maggio, il film sarà proiettato da domani al teatro degli Intrepidi Monelli, in viale Sant’Avendrace 100 a Cagliari.

Da filmmaker Francesco Bussalai parla così del proprio lavoro. Quando e come nasce l’idea di un film sulla legalizzazione della marijuana negli Usa?

«L’idea nasce da un viaggio che avevo deciso di fare. L’uso legale della cannabis è la cosa più grossa a livello sociale, economico e sanitario che sta succedendo oggi nella parte occidentale degli Usa quindi Oregon, California, stato di Washington. Il film parte con l’idea di raccontare quello che vedevo lì: il coltivatore, il produttore, quello che fa gli estratti, il laboratorio di analisi, il venditore. Però mi sono accorto che mancavano un punto di vista scientifico e lì entra in gioco professor Gessa e una prospettiva storica».

Perché tutti oggi pensiamo che sia il male assoluto?

«Per raccontarlo ho trovato un personaggio eccezionale come Nixon che ha deciso di partecipare solo in voce. Nixon per tre anni registra tutte le conversazioni che si svolgono nello studio Ovale della Casa bianca, dove incontra i suoi collaboratori e tutti gli esterni. Le registrazioni sono le stesse che lo incastrano per il caso Watergate, e lui è costretto a dimettersi. Nixon muore nel ’98 e dal 2008 cominciano a pubblicarle, oltre 3000 ore di documenti. Qui ho trovato le cose che cercavo e Nixon ci aiuta a capire la guerra alla droga e l’incredibile aumento del tasso di carcerazione in tutto il mondo ma soprattutto negli Stati Uniti».

Rilegalizzata perché?

«Prima di tutto è solo una pianta e che ci sia bisogno di legalizzarla è già un paradosso. La verità è che l’uso della cannabis è conosciuto da migliaia di anni, per uso medico e per uso anche ricreativo. L’uso medico è riconosciuto nella farmacopea di tutto il mondo: negli Stati Uniti fino al ’41, in Italia fino al 47. L’idea del titolo è che una pianta legale da sempre e sempre usata, pensiamo sia proibita ma lo è solo da 80 anni. Ma è già stata rilegalizzata, non solo negli Stati Uniti dove c’è un riconoscimento formale, ma anche nei fatti anche in Europa e in Italia perché i farmaci a base di cannabis esistono, sono in commercio, utilizzati ad esempio dai malati di sclerosi multipla, l’unico problema ad esempio col Sativex che è citato nel film è che costa 8000 euro l’anno per una pianta che puoi coltivare in giardino dove cresce come il basilico o i pomodori.

Professor Gessa appare come un vero protagonista, il personaggio ponte tra la Sardegna e l’universo mondo...

«La mattina in cui abbiamo registrato l’intervista io e Paolo Carboni eravamo alle telecamere ma ci dimenticavamo di averle: è stata un’esperienza straordinaria. E mi sembra che col suo essere uno scienziato, un professore, un insegnante che fa capire le cose con semplicità leghi le storie che succedono dall’altra parte del mondo ma sono universali. Anche nella versione americana che alcuni hanno già visto tutti sono rimasti colpiti e rapiti da quest’uomo. Il documentario punta il dito contro il proibizionismo e offre una visione sempre ottimista della legalizzazione».

Perché non parla degli adolescenti che pure sono tra i consumatori considerati a rischio?

«Negli Stati Uniti, salvo l’uso medico, è legale solo dai 21 anni e dobbiamo riflettere sul fatto che i ragazzi fumano già ora che è proibita. Io non punto il dito contro il proibizionismo ne racconto gli effetti. Metto in fila delle storie e lì è la mia responsabilità di narratore, ma ho fatto solo un documentario. Il film tratta il business che si è creato intorno alla cannabis.

Qui entra in gioco il suo lavoro precedente di esperto in economia del lavoro in Sardegna...

«In Oregon sta trasformando un mondo finora in mano alle mafie e ai narcotraffici. Se questo potere lo dai a tutti crei un settore economico enorme. Le storie che racconto accadono a Eugene (che ha 150.000 abitanti come Cagliari) dove oggi 25 dispensari occupano 10/15 persone ognuno, con una rete di una decina produttori ciascuno; le trasformazioni, gli estratti, quelli che preparano i cibi e i venditori autorizzati. Dalla sera alla mattina si nono creati circa mille posti di lavoro. Se gestita bene diventa un settore economico enorme: noi abbiamo bisogno di cannabis per i nostri malati di sclerosi, ma la Sardegna ha 6000 malati di sclerosi. La stiamo sperimentando, ma se dovesse funzionare sono 48 milioni di euro solo per un farmaco e per una malattia. Non possiamo permettercelo. Non solo: è una possibile fonte di lavoro e sviluppo per categorie che normalmente sono considerate non impiegabili nel campo delle economie. Se coltivare diventa legale chi prima lo faceva illegalmente, i pastori, i ragazzi che spacciano diventerebbero negozianti. In Oregon sono diventate persone con un lavoro legale che pagano le tasse. Diventa un salto sociale potenzialmente incredibile. Nel film cito come un gioco di proiezioni i dati della Yale Economic Rewue, numeri veri di economisti importanti, pubblicati cinque anni fa quando avevano la percezione di un mercato meno grande di quanto non si sia rivelato in realtà».

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