La Nuova Sardegna

Luigi Lai ammalia Cheremule Musica nella casa delle fate

di Giacomo Mameli

Il maestro delle launeddas e la voce di Elena Ledda per un concerto magico Successo tra le Domus de Janas anche per Paolo Fresu e Michel Portal

18 agosto 2016
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CHEREMULE. Solo le Fate e le Streghe con anagrafe sarda, i Fauni e i Satiri, le Nereidi ninfe dei mari che sommergevano l’isola e le Pleiadi nuragiche, potevano far uscire le Janas dalle loro case o tombe, farle vibrare dopo millenni e far sentire al popolo di Facebook 2016 suoni ancestrali con le launeddas del maestro Luigi Lai e la voce di Elena Ledda, due fra i nomi sacri della cultura sarda contemporanea.

Il miracolo è avvenuto in una notte di mezzagosto nella Sardegna lontana dai panfili, in un’aia grande di Cheremule dove la frescura serale faceva sentire il profumo del fieno appena tagliato. Davanti a un pubblico in visibilio (oltre cinquecento persone, moltissimi turisti, soprattutto scandinavi), per tredici minuti filati, il patriarca di San Vito (84 anni) ha suonato una Mediana Pippia fra le più intense della sua carriera: dalle caverne della preistoria (illuminate com’erano sembravano più tabernacoli che sepolcri) la melodia è salita fino al cratere vulcanico di Monte Cuccureddu, ha inondato tutta la piana del Meilogu e si è andata spegnendo verso i monti della Gallura e le serre del Logudoro e del Marghine. Chissà se l’eco è giunta in Campidano da Pinuccio Sciola che faceva cantare le pietre o in Ogliastra dove Maria Lai dava corpo e anima alle montagne e ai fili che le legavano alle case.

Nel teatro all’aperto racchiuso da tancati dove brucavano mucche notturne con i loro campanacci tintinnanti, Luigi Lai ha esternato quella cifra professionale che lo ha portato sull’Olimpo dell’Opera a Parigi, San Pietroburgo, Saint Patrick di New York, nei teatri cinesi e australiani così come nelle processioni e nelle piazze di tutta la Sardegna. Con “Su tumbu” da una parte, la “canna-basso”, “Mancosa” e “Mancosedda” dall’altra anche martedì sera è stato ancora una volta un uomo-orchestra. Molti sardi quasi ballavano, anche seduti. Gli stranieri si chiedevano stupefatti «ma è davvero solo lui a suonare?» e guardavano se dietro il palco ci fossero altri cinquanta, cento orchestrali.

Quelle quattro canne di fiume disuguali tra loro, ciascuna con i propri fori, i cannellini e i calami, una lunghissima un’altra corta, la cera vergine di api ben disposta sopra le ance, le estremità dei “cabizzini” racchiuse dallo spago sintetico, sono sempre state un complesso da teatro d’opera. Hanno fatto vibrare l’Arena di Verona e lo Sferisterio di Macerata. Hanno incantato il Quirinale per i concerti nella sala Paolina. Quattro canne che, messe fra le labbra del più raffinato interprete di un’arte che ha quattromila anni di vita, restano un unicum del bacino del Mediterraneo che ha legami con le musiche popolari di popoli antichissimi di ogni parte del mondo. E Lai, da decenni, tiene i rapporti con i più importanti Conservatori dei cinque Continenti. «Perché – dice – la musica, anche quella delle launeddas, è linguaggio universale».

È stato il battesimo delle launeddas non solo davanti a domus de janas, ma dentro le domus. Proprio dove vivevano le janas Luigi Lai ha fatto le prove prima di arrivare sul palco fra gli applausi. Lo ha presentato Elena Ledda che ha aperto la serata con una “Anninnìa” fra le migliori da lei eseguite. Concerto anche d’attualità con testi di Sergio Atzeni. Simonetta Soro ha letto di Erri de Luca «Mare nostro che non sei nei cieli», ha ricordato i drammi di Aleppo e del popolo curdo. Con la mandola di Mauro Palmas, la batteria di Andrea Ruggeri, la chitarra di Andrea Peghin e il basso di Silvano Lobina, è partito un recital («lo abbiamo chiamato Làntias, lacrime e sospiri, in un momento buio per le guerre del mondo»). Con l’immancabile “Procurade ’e moderare” anche le note classiche di “Fame di pietre”, “Ca sa terra est tunda” e un tristissimo “Mare mannu” nel cimitero senza croci del Mediterraneo.

Una leggera pioggia ha fatto chiudere con mezz’ora di anticipo il concerto nel paese della cheremulite (la pietra del cratere del vulcano spento). Davanti a tanta storia geologica e umana, archeologica e bucolica, Lai avrebbe proposto una sua “Pastorale” e un classico “Passu torràu”.

Ma anche in sessanta minuti il concerto nel Parco dei Petroglifi è stato un successo da libro d’oro. Con un’anteprima che ha solo bisogno di poche note di cronaca: il clarinettista Michel Portal (81 anni) che si esibisce con la tromba di Paolo Fresu. Tutt’attorno gazebo con torrone di Tonara e birra a fiumi, l’angolo degli arrosti (con olio di Bolzano), la fregula del pastificio Tanda&Spada di Thiesi. Tutto si tiene in nome delle janas.

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