La Nuova Sardegna

“Novecento” pop-up La memoria del male

di Grazia Brundu
“Novecento” pop-up La memoria del male

La mostra di Antonello Fresu all’università di Sassari

06 maggio 2016
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SASSARI. Confinata in un sottoscala c'è una figurina di carta dentro un bidone di ferro arrugginito. Raffigura Hitler. Forse, come un demone della crudeltà, è «imprigionato definitivamente lì dentro, oppure sta per venire fuori da un recesso profondo», spiega Antonello Fresu, psichiatra di scuola junghiana oltre che artista e curatore. Il suo "Novecento", fino al 20 di questo mese all'Università centrale di Sassari –a cura di Giannella Demuro e Ivo Serafino Fenu per la sezione arti visive di Time in Jazz– ripercorre cent'anni di guerre.

Dalla prima mondiale all'avvento dell'Isis. Ma soprattutto riflette sul «male e la rimozione della memoria» lasciate in eredità dal secolo scorso.

Viene da pensare che il Novecento non sia stato che una lunga sequenza di orrori. È così?

«Ho scelto un titolo provocatorio, perché un secolo che doveva essere quello del progresso culturale, scientifico, finalizzato al bene dell'umanità, in realtà è stato il secolo che ha prodotto la pianificazione del genocidio. Oltre che il maggior numero di morti in guerra di tutta la storia. A partire dalla prima guerra mondiale».

Alla quale dedica una serie di gigantografie di scatti originali dell'epoca, resi tridimensionali con la tecnica del pop-up?

«Sì, è una tecnica usata nei libri di fiabe per bambini ma io la adopero per raccontare agli adulti una tragedia costata la vita a venti milioni di persone. All'inizio temevo che potesse risultare un approccio "leggero", invece il pop-up costringe chi guarda ad entrare nella storia e accresce la drammaticità delle fotografie già viste sui testi di scuola».

Come mai per ricordare i caduti sardi della Grande Guerra, invece, ha scelto una tecnica meno d'impatto?

«Con nomi e date che scorrono su semplici monitor neri? Mi sono limitato a digitalizzare i nomi dall'Albo d'oro dei caduti della prima guerra mondiale, pubblicato Mussolini. La nostra regione è una di quelle che ha avuto il maggior numero di morti e nel titolo dell'installazione riprendo quella cifra: “13.800”. Mi sono tenuto lontano dalla retorica. Per chi legge, quei nomi possono evocare eroi, come per la retorica ufficiale, o povere vittime strappate dai campi».

Nell'installazione "L'ombra della memoria", lei affronta il tema dell'impunità per chi si è macchiato di crimini atroci...

«Nel '47 avviene il primo grande insabbiamento della nuova Repubblica Italiana. Duemila processi istruiti a carico di fascisti responsabili di stragi di civili, tra cui Marzabotto e Sant'Anna di Stazzema, vengono archiviati con la dicitura "archiviazione provvisoria". Mettendo a disposizione dei visitatori le fotocopie di quelle carte, fatte desecretare pochi mesi fa dal Presidente della Camera Laura Boldrini, voglio dire che la negazione della memoria è un'ombra che determina tutto ciò che succede nella seconda parte del secolo».

E a proposito di quella parte del Novecento lei dedica un posto importante alla guerra del Vietnam, con due installazioni in parallelo, dedicate alla Tv e alle copertine di "Life" modificate con il pop-up...

«La pubblicità, negli anni del Vietnam, diffondeva una mitologia positiva sulla guerra. Gli americani hanno visto per la prima volta cosa succedeva ai loro ragazzi solo grazie agli articoli pubblicati da "Life". Però, anche allora, il tempo dei civili e quello dei soldati è rimasto inconciliabile. Perfino dopo il ritorno dei reduci: dopo un po' la gente non voleva più stare a sentire i loro racconti. Un po' quello che mostra con gli otto monitor che trasmettono nel vuoto una raffica di immagini sulle guerre in America Latina, Irlanda, Libia, Bosnia, Cecenia. In realtà lì dentro ci sono anche filmati di questo secolo, che non riuscivo più a distinguere da quello passato. È come se il primo partorisse il secondo con immagini che purtroppo finiscono per essere sempre uguali».

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