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Sassari, Gioia Masia lascia il calcio: «Avrò un figlio da marcare»

di Mario Carta
Gioia Masia con la maglia della Torres
Gioia Masia con la maglia della Torres

Per la calciatrice sassarese tre scudetti, due Coppe Italia, due Coppe Uefa e 60 maglie azzurre. La Torres nel cuore per il difensore sassarese che appende le scarpette al chiodo

01 agosto 2016
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SASSARI. Se dopo 25 anni di carriera, tre scudetti, due coppe Italia, due coppe Uefa e 60 presenze in nazionale un calciatore decidesse di appendere le scarpette al chiodo vai con le paginate sui giornali sportivi. Quando con cotanto curriculum a salutare con garbo, quasi con timidezza, il pallone è invece una calciatrice, vai col web, a tutto social. Dove a Gioia Masia è stato riconosciuto il meritato tributo. Insieme a qualche lacrima.

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Ciao erbetta, e addio centravanti avversario da marcare. Perché?

«Ultima di campionato, io col Chieti contro la Roma, dove ho giocato per anni. Ultima giornata, la vittoria ci ha dato la serie A davanti a 3000 persone. Non potevo smettere in modo migliore, io e il mio compagno Giampiero ci siamo messi a piangere tutti e due, ma in cuor mio lo sapevo già».

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Una vita nella Torres. Quasi.

«Sono stata fortunata, perché se nasci e cresci in una squadra come la Torres hai le basi per il resto della carriera».

Ma a 23 anni l’ha salutata.

«Era il 2002, ero giovane. Avevo sempre avuto il pallino di esplorare, e di Roma: il sogno era andare a vivere là. Ma la Torres non si discute».

La Torres è finita male, ora cercano di farla rinascere. Questo periodo di crisi se l’è perso o se l’è risparmiato?

«Un po' e un po'. Mi è dispiaciuto tanto quando ho saputo del fallimento. Un colpo al cuore, la Torres rappresenta il calcio femminile italiano, è la squadra più titolata, ha fatto la storia dello sport della mia città. Ora spero che la rifondazione riesca, sono la prima tifosa. E’ giusto che la Torres sopravviva, con i suoi titoli sportivi».

Un tempo la Torres era delle sassaresi.

«E’ stato un errore, non curare il settore giovanile. Anche se non è più come 30 anni fa bisogna andare a cercarle, le ragazze. A Roma è diverso».

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In 25 anni come è cambiata la condizione femminile, anche nel calcio?

«In meglio sotto certi aspetti ma non vedo tutta questa crescita. In positivo ha contribuito l’avvento di Facebook, è migliorato l’aspetto mediatico perché sui giornali si vedono solo i trafiletti, in tutto lo sport femminile. Un angolino al telegiornale quando vinci una medaglia olimpica. Vale per la scherma, il volley.... Nanosecondi rispetto ai calciatori, che anche quando vanno in vacanza riempiono i giornali. Purtroppo la donna non riesce a esplodere, ad avere visibilità. La gente si stupisce ancora quando dici che giochi a calcio. C’è il tabù omosessualità, poi, ma lo sport non ha sesso, posso giocarci anch'io a calcio e tu puoi fare danza. Ognuno è quello che vuole essere e che è a prescindere dello sport che fa, libero».

Il ricordo più bello?

«Il primo scudetto, 3-1 al Torino all’Acquedotto davanti a 5000 persone. Un sogno. Poi le qualificazioni europee in Sardegna con la Nazionale, la famiglia in tribuna. Cantavo l’inno ma singhiozzavo per l’emozione, andavo fuori tempo e facevo sbagliare le compagne, mi hanno mezzo insultata ma volevo continuare a cantarlo».

Il più brutto?

«L’infortunio a un ginocchio, a 17 anni. Un anno perso. E ogni volta che ho dovuto lasciare una squadra. Ma il calcio femminile è anche questo, compio 40 anni e il lavoro è la cosa più importante».

Sempre in contatto con Sassari?

«Certo, Eleonora e Michele, amicizie che vanno oltre lo sport. Damiana, Angel, sento Roberto Ennas, Gigi Casu, rapporti che durano da 20 anni e più. E Tore Arca, l’allenatore con quale ero più in sintonia. Ci vediamo sempre a Ferragosto, il 14 caschi il mondo sono a Sassari, i Candelieri non si toccano».

Mai pensato di allenare?

«Non mi ispira, ma forse ancora non ho avuto lo stacco totale dal campo».

Ora il lavoro e un gol... particolare. Un figlio.

«L’idea di smettere nasce soprattutto per quello, visto che non sono più giovanissima. Però finché non arriva giocherò nella C regionale di calcio a cinque. Mi ci butterò anima e corpo perché è tutto nuovo, è un altro sport, mi intriga. Non c’è verso, senza competizione non so stare».

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