La Nuova Sardegna

Sport

Dinamo, lo scudetto compie un anno: parla il patron Sardara

di Mario Carta
Dinamo, lo scudetto compie un anno: parla il patron Sardara

Un anno fa i biancoblù vincevano gara7 della finalissima playoff a Reggio Emilia Il presidente Sardara: «Resterà per sempre, e abbiamo capito che si può rifare»

26 giugno 2016
3 MINUTI DI LETTURA





26-06-2015. Oggi, un anno fa esatto, lo scudetto sardo del basket dopo la folle, entusiasmante gara7 di Reggio Emilia. La Dinamo Sassari e la Sardegna del basket campioni d’Italia. Presidente Stefano Sardara, cosa è rimasto?

«E’ rimasta un’emozione incredibile. E’ rimasto che, come mi ha detto un giorno Pozzecco riferendosi al suo scudetto, “è una cosa che ti scalderà il cuore per tutta la vita”. Lo scudetto è come prendere una bambolina e accarezzarla, è che ogni tanto mi riguardo le partite della serie di semifinale con Milano e me la godo, me la godo anche se so già benissimo come va a finire».

I tifosi hanno la foto della squadra incorniciata, una prima pagina, un gagliardetto o la t-shirt. Lei dove lo ha appeso il ricordo di quel giorno?

«In camera da letto, a fianco al quadro che mi segue da quando ero ragazzino, ho le tre medaglie del 2015, più quella della Coppa Italia della stagione precedente. Così le vedo ogni notte».

In che rapporti è rimasto con i protagonisti di quella cavalcata?

«Ottimi. Con Shane (Lawal) ci sentiamo spesso, a Barcellona ci siamo incontrati. Con Jerome (Dyson) e Rakim (Sanders) siamo in contatto via telefono e via Whatsapp, con Brooks ci sentiamo un po’ meno ma lui sta in Russia ed è complicato, a Sosa ho mandato gli auguri per il suo successo in Iran. Quando per un mese e mezzo fai aereo pullman albergo campo aereo pullman e via di seguito ci si racconta la vita, si crea un legame indissolubile, che dura per sempre».

A Sassari e in Sardegna cosa è rimasto di quel 26 giugno? Solo l’orgoglio?

«Gli americani direbbero che è rimasto il “Yes we can”, la consapevolezza di poterci riuscire. E non è l’unica. Visto che ci siamo riusciti una volta non c’è un solo motivo per cui non possiamo riuscirci di nuovo, e anche se sappiamo che è molto difficile lavoriamo tutti i giorni per riprovarci».

Quest'anno lo scudetto è stato più un peso o più uno stimolo?

«Più un peso, e non dico che ci ha schiacciato ma ci ha fatto correre coni i piombi ai piedi sin da quando abbiamo costruito la squadra. Che hai lo scudetto sulla maglia un po’ lo riconosce il mercato e un po' lo senti tu, e la prima volta fatichi a capire dove fermarti. Costruendo la squadra abbiamo perso l’identità del gruppo che ha fame, e ad ogni angolo trovavamo un avversario che giocava alla morte perché tutti volevano battere i campioni d’Italia».

Secondo scudetto storico della Sardegna, con quello del Cagliari calcio.

«Sono cose che fanno piacere ma il vero motore è vedere una macchina costruita per far bene che comincia a far bene. Il triplete, l’Europa, lo scudetto Under 18. Cinque anni fa non c'era settore giovanile e ora vinciamo tutto in Sardegna, diverse interzona e un titolo italiano, vuol dire che il lavoro è buono».

Qualche ringraziamento particolare, un anno dopo?

«La mia famiglia in particolare, i giocatori a partire da capitan Vanuzzo e tutto lo staff. Una squadra da sola non raggiunge uno scudetto, la lezione che abbiamo imparato è che il lavoro di squadra è imprescindibile».

Cosa serve per fare il bis?

«Ripartire con quella fame che ha portato i risultati, con un pizzico di umiltà in più da parte di tutti. E’ un bel brodo fatto da tanti spizzichi compresa un po’ di fortuna, che non guasta mai, ma soprattutto tanto lavoro».

Celebrazioni particolari?

«Non so, magari i nostri uffici... Io il 26 giugno lo ricordo ogni giorno, non ho bisogno di appuntamenti».

In Primo Piano
Sanità

Ospedali, Nuoro è al collasso e da Cagliari arriva lo stop ai pazienti

di Kety Sanna
Le nostre iniziative