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Conte il trasformista: meno tecnica, più tattica per un’Italia di carattere

di Valentino Beccari
Conte il trasformista: meno tecnica, più tattica per un’Italia di carattere

La mancanza di talenti costringe il tecnico a far di necessità virtù Non brilla sul piano del gioco, ma sfrutta i difetti degli avversari

16 giugno 2016
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INVIATO A MONTPELLIER. Ci sono allenatori che hanno fatto la storia del calcio, impresso i diritti d’autore ad uno stile di gioco, un modulo, un’alchimia, una filosofia. Il “sacchismo” è stato quasi una corrente letteraria del calcio ma prima di lui anche i vari Herrera, Rocco, Liedholm e persino Scopigno avevano brevettato una nuova interpretazione del gioco. Ormai, nell’era della globalizzazione è difficile inventare qualcosa di nuovo però è possibile declinare l’aggettivo tattico, tecnico, fisico e persino spirituale. È sulle 50 e più sfumature di azzurro che hanno lavorato con alterne fortune i Ct degli ultimi 10 anni, da Lippi campione del mondo a Donadoni “bruciato” troppo in fretta, da Prandelli double-face a Conte. È bastata la vittoria con il Belgio per chiedere alla Treccani il diritto di asilo per il “contismo” una sorta di rinascimento del calcio italiano che non passa per il copyright di un nuovo sistema di gioco ma per una miscela di principi morali e tecnici, di esercitazioni tattiche, analisi scientifiche, utilizzo delle nuove tecnologie e soprattutto sedute motivazionali di gruppo. Già, il nostro Ct non ha brevettato la nuova zona, inventato il “3-6-1” o il falso “diez” ma ha saputo mettere al servizio della squadra tutte le sue esperienze, le competenze tecniche e psicologiche e soprattutto la sua carica caratteriale che non si studia nei libri e che non si acquisisce a Coverciano. Rispetto ai suoi predecessori la sua Italia è “uno, nessuno e centomila”.

«Voglio una squadra camaleontica – ripete spesso in questi giorni – in grado di cambiare pelle e sistema più volte nel corso della partita».

Era così la sua Juve è così la Nazionale che in soli venti giorni tra Coverciano e Montpelleier ha imparato la lezione. Rispetto a quella di Lippi l’asticella tecnica è più bassa. La squadra campione del mondo fu travolgente nelle qualificazioni e nelle amichevoli premondiali travolse Olanda e Germania. C’erano fuoriclasse del calibro di Totti e Del Piero anche se poi il mondiale lo vinsero Grosso e Materazzi. Però faceva gioco, così come quella di Donadoni capace di trascinare la Spagna dei fenomeni ai calci di rigore. L’io narrante era tracciato anche da Prandelli che aveva nel possesso palla la sua religione e se la liturgia è andata bene in Polonia e Ucraina si è rivelata fallimentare in Brasile. Antonio Conte è persona intelligente che sa che rispetto ai suoi predecessori può contare su una serie A con il solo 33% di giocatori italiani (nel 2006 l’incidenza era del 65%). Inoltre la qualità dei diamanti estratti dal sottosuolo italiano non è eccelsa e allora la sua bravura è stata quella di costruire una squadra e non una elezione.

Nei due anni di qualificazione ma soprattutto nell’ultimo mese, ha “smacchiato” dei colori sociali tutti i giocatori e tatuato un cuore azzurro ideale nell’anima. Il gruppo c’è e i discepoli seguono l’apostolo. Ma è tatticamente che il Ct ha saputo dare identità e stato civile alla Nazionale il cui gioco non ha nome e cognome e non scorrono i titoli in sovrimpressione.

Perché la sua Italia gioca sulle debolezze dell’avversario come si è visto contro il Belgio dove ha sviluppato una sorta di “catenaccio moderno”, chiudendo gli spazi ma ripartendo immediatamente e con più effettivi. E così sono arrivati due gol, diverse occasioni e i fiamminghi si sono resi pericolosi solo con un paio di conclusioni ma senza quasi mai entrare in area di rigore. Domani con la Svezia la Nazionale indosserà un abito diverso, magari più audace perché la situazione lo consente. Ma Conte ha le idee chiare e vuole andare a Londra almeno con una semifinale europea nel curriculum. A proposito: come si dice “contismo” in inglese?

©RIPRODUZIONE RISERVATA

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