La Nuova Sardegna

Sassari

L’addio al Sant'Elia, monumento di ricordi

di Ettore Licheri
Lo stadio Sant'Elia
Lo stadio Sant'Elia

A breve sarà smantellato uno stadio inestimabile contenitore di storie sportive

19 giugno 2017
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CAGLIARI. Sant'Elia è una piana sommersa dal sole dove gli alberi guardano al cielo maledicendo il proprio destino. File di palazzi senza speranza, scossi da un vento che nei giorni di scirocco riesce a spezzare qualunque respiro. Sant'Elia è un quartiere che non ha fatto in tempo ad avere un futuro, faccia delusa per una scommessa perduta da una città nobile e decaduta.

Ma Sant'Elia è anche un inestimabile contenitore di storie sportive. Mezzo secolo di emozioni consumate tra i piloni del suo stadio. Un gigantesco catino bollente a pochi passi dal mare, capace di far tremare le ginocchia anche al più spavaldo dei giocatori.

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Tra pochi mesi, però, lo stadio verrà smantellato. Al suo posto sorgerà un impianto più moderno e funzionale, in linea con le esigenze commerciali del calcio attuale. È il nuovo che si avvicenda al vecchio, successione naturale delle cose, niente di speciale insomma, se non fosse che, nell'ultima partita giocata tra quelle vecchie mure, tanta gente singhiozzava commossa. Ora, piangere per uno stadio può sembrare irrazionale, eccessivo, spropositato. La vita dispensa drammi più profondi e laceranti.

Ma gli stadi sono come i monumenti: austeri, distaccati e solenni eppure capaci di catturare e custodire l'emozione di un momento o di un tempo. Non si può pensare di abbattere un monumento senza avvertire un sentimento di distacco da qualcosa che ti è appartenuto o al quale sei appartenuto.

Con la demolizione del Sant'Elia si chiude una delle stagioni più complesse e travagliate della storia della nostra isola. Scompare il simbolo di un'epoca avventata e godereccia. E, chi vorrà, nelle sue macerie potrà trovare una spietata allegoria della fine della grande industria in Sardegna e delle sue false promesse. Lo stadio venne alla luce l'anno dopo la conquista dello scudetto divenendo testimone di una primavera sociale e sportiva sfiorita troppo presto. Coloro che sostennero economicamente la squadra facendola diventare regina del campionato si dileguarono subito dopo la festa, lasciandosi alle spalle una scia di campagne e ciminiere abbandonate. L'amara scoperta che dietro quella ricchezza si nascondeva un'illusione, uccise sul nascere le speranze di riscatto di una regione.

Fu una favola, quella dello scudetto, che come tutte le favole durò un tempo infinitamente breve. E così, da palcoscenico di prima grandezza il Sant'Elia divenne presto un luogo di decadenza dove l'antica dignità di una razza irriducibile dovette chinarsi allo strapotere delle metropoli del nord. La passione e l'orgoglio sportivo sono però fiamme che nessun affanno può domare.

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Il Cagliari giocò nel suo stadio altri quarantasette campionati rimanendo disperatamente aggrappato all'elite del calcio senza mai rinunciare a schierare, ogni volta, almeno tre giocatori sardi. Storie di prodigi e di cocenti delusioni, di sacrifici e di fatalità, storie di amoroso attaccamento ad una terra che tiene i propri figli chiusi in un pugno. Una suadente chanson de geste che, ogni settimana, celebrava i valori nei quali la gente si riconosceva: l'onore, il tormento, l'estasi e la vittoria.

Molti pensieri riempiono oggi il vuoto di quelle tribune. E tra questi il ricordo di quella notte d’inverno in cui l’avversaria piemontese di sempre, vestita di bianco e di nero, danzava elegante e superba, già sicura della vittoria. Fu un uomo di Oliena, piccolo, tozzo, ma baciato da una classe cristallina, a salire fin sopra la luna per colpire di testa un pallone impossibile. Il guizzo e la sfera appena sotto la traversa. Poi gli abbracci, l’esultanza, e la fine di una partita che sembrava segnata. Attimi di pagana felicità che nessuna ruspa potrà mai cancellare.

Sì, in fondo ci si può commuovere anche per uno stadio. Perché le lacrime sono il giusto tributo alla casa dove hanno recitato gli eroi della nostra giovinezza, dove abbiamo imparato che nulla è impossibile per chi dimora in una terra lambita dal fuoco e dalla poesia.
 

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