La Nuova Sardegna

Sassari

PARLIAMONE - Le parole dell’odio dei giustizieri del web

Daniela Scano
Social network
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Pochi istanti dopo la pubblicazione dello sconvolgente video di un caso di bullismo le identità due protagoniste, due minori, sono state svelate. La “rete” è una zona franca per la violazione delle più elementari regole di tutela dei dati sensibili

23 ottobre 2016
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SASSARI. Provate a immaginare la scena: un ragazzino braccato, stretto nell’angolo e circondato da milioni di adulti incattiviti. Ce l’hanno con lui: lo insultano con le parole più offensive che si possano scovare nel vocabolario, gli augurano ogni male e annunciano che gli faranno ogni male. Immaginate la scena anche se è difficile farlo, perché in Italia milioni di persone non si mobilitano più neppure per le grandi cause. Non chiedetevi cosa ha fatto di riprovevole quel ragazzino, il punto è un altro. Domandatevi come sia potuto accadere che la sua identità sia oggi nota a tutto il mondo e vi sarete fatti un’idea di quanto sia smisurata la falla nel sistema che dovrebbe proteggere la privacy di quell’adolescente e di tutti noi.

Milioni di persone in questi giorni hanno usato le parole dell’odio contro la quindicenne che, orgogliosa di essere inquadrata dai telefonini dei suoi amici, ha preso a schiaffi una coetanea. Quei telefonini hanno aperto le paratie di una diga colma di cattivi sentimenti che sono tracimati senza controllo nella “rete”. Pochi istanti dopo la pubblicazione nei social network del video della ragazzina umiliata dalla coetanea e braccata dai suoi complici, una scena che fa male anche solo ripensare, i giustizieri del web si sono scatenati. Qualcuno ha dato in pasto alla giustizia mediatica il nome delle protagoniste e il profilo Facebook della bulletta è stato immediatamente invaso dal branco affamato di vendette esemplari. Le minacce e gli insulti sono continuati anche dopo che Facebook ha eliminato il video dalla sua piattaforma. Una decisione presa in ritardo e resa necessaria dall’intervento del ministero. L’episodio dovrebbe servire per riflettere sul flusso incontrollato delle informazioni che il mondo dei social ha sdoganato, sui pericoli, sulle contromisure.

Gli operatori della informazione rispettano codici che sono stati scritti per rispettare i minori, le donne, i dati sensibili delle persone. In due parole, la deontologia professionale. Ma è come guardare il mondo da un foro dello scolapasta mentre intorno le regole non esistono, le informazioni più delicate sono immediatamente a disposizione di tutti, le parole dell’odio vengono usate come sassi per le quotidiane lapidazioni virtuali. Oggi la ragazzina di Muravera, ieri un altro, domani chissà, forse noi stessi.

Qualcuno aiuterà quella bulletta a comprendere la gravità dell’atto che ha commesso. Dopo avere provato solidarietà per la vittima, il mondo degli adulti dovrebbe preoccuparsi di altro. Per esempio di parlare con i ragazzi per aiutarli a non diventare vittime o carnefici e neppure colpevoli spettatori. E quel video può essere anche l’occasione per spiegare che ciò che è accaduto è, anche, il frutto malato di una libertà che i ragazzi credono di poter padroneggiare ma che sfugge loro di mano quando cliccano “invia”. In quel preciso istante ciò che volevano condividere con il loro ristretto ambiente diventa cibo per alimentare la bestia che vive dentro i social. Può quindi capitare che milioni di persone, uomini e donne che nella vita reale vivono nel mondo civile rispettandone le regole, davanti al computer diventino lapidatori virtuali e propagatori di dati sensibili senza rischiare niente per ciò che fanno.

Le parole dell’odio e i flussi incontrollabili delle informazioni sensibili dovrebbero essere oggetto di una seria riflessione in una società che da un lato ha le regole della civile convivenza e dall’altro ha uno spazio libero, una zona franca della violazione sistematica delle regole del rispetto della privacy.

La ragazzina che ha preso gli schiaffi è la vittima della bulla e dei suoi amici, mentre la bulla e i suoi amici sono le vittime della massa che dopo averli identificati li ha messi alla gogna, insultati, minacciati, in uno sfogo collettivo incontrollabile e che fa paura. L’odio è un sentimento che fa degenerare qualsiasi dibattito, fa perdere il senso della discussione, fa indietreggiare sullo sfondo il problema che lo ha generato.

L’odio è da sempre il veleno delle folle e dovrebbe essere sterilizzato e incanalato in un contesto civile affinché non prenda il sopravvento.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

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