La Nuova Sardegna

Sassari

L’ansia da prestazione e la lezione di Suzuki

Suzuki, uno studioso di prestazione giapponese, si è posto una domanda affascinante: gli schermitori del passato, che si giocavano la propria vita e non la vittoria di una gara, come gestivano l’ansia...

30 luglio 2016
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Suzuki, uno studioso di prestazione giapponese, si è posto una domanda affascinante: gli schermitori del passato, che si giocavano la propria vita e non la vittoria di una gara, come gestivano l’ansia da prestazione?

Questa domanda apre un dibattito enorme sul senso della preoccupazione e dell’ansia, e a tal proposito mi viene in mente ciò che mi disse una volta mia nonno, nella sua saggezza, che prima non c’era tempo per l’ansia e la depressione, come a dire che alcune problematiche psicologiche colpiscono chi se le può permettere. La psicologia sottolinea che in situazioni di pericolo le persone possono compiere alcuni comportamenti istintivamente, senza pensarci. Un esempio su tutti sono le manovre salva incidenti, che a volte possiamo fare, rendendocene conto solo a pericolo scongiurato.

In particolare, sono tre le risposte “istintive”, che automaticamente possono prendere il sopravvento sull’ambiente, bypassando il nostro ragionamento, e che condividiamo con i nostri amici animali: attacco, fuga e riflesso di morte.

La finalità di queste risposte è protettiva, come nel caso dell’incidente, ma a volte, non essendo completamente sotto il nostro controllo, se messe in atto in contesti che non rappresentano dei pericoli oggettivi, possono causare dei problemi. La prestazione sportiva rappresenta un momento di altissimo stress per cui è possibile che l’istinto prenda il sopravvento portando a comportamenti sconvenienti.

La risposta di attacco nello sportivo avviene nel momento in cui al “pericolo” ambientale si risponde offendendo l’altro senza strategia e senza ragionare. Come nel mondo animale una preda può attaccare per difendersi da un predatore, nello stesso modo in prestazione l’atleta può presentare delle sfuriate e veri e propri atti di violenza contro l’avversario, totalmente disfunzionali rispetto al risultato.

Un esempio su tutti la famosa testata di Zidane su Materazzi nella finale dei Mondiali, chissà se avremmo comunque vinto i mondiali con il francese in campo fino alla fine. Lo stesso processo sta alla base di tante racchette rotte, palloni scagliati e stupide espulsioni per insulti all’arbitro.

Il problema non è la risposta, ma la lettura di pericolo che si può dare a delle situazioni di per sé non pericolose, e all’escalation di aggressività e rabbia che ne consegue. Tutto ciò apre ad una interessante prospettiva educativa, perché è nel momento in cui il giovane atleta si avvicina allo sport che impara a dare lettura a nuove situazioni.

Perciò l’amplificazione esasperata, emotiva e aggressiva di alcune situazioni rischiano di modellare e rendere lecita l’espressione d’attacco sul campo da gioco, anche se perdendo non si rischia la vita. Alla prossima settimana per fuga e riflesso di morte.

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