La Nuova Sardegna

Sassari

Altare di S.Antonio, sotto la vernice una patina d’argento

di Antonio Meloni
Altare di S.Antonio, sotto la vernice una patina d’argento

La scoperta nel corso del restauro della pala lignea Fu utilizzata una tecnica antichissima chiamata meccatura

05 maggio 2016
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SASSARI. Quando si restaura un’opera d’arte, assieme alla storia riaffiorano anche particolari importanti che contribuiscono ad arricchire di dettagli una vicenda già carica di fascino. Proprio come è successo nei giorni scorsi nella chiesa di Sant’Antonio Abate, quando, all’avvio dei lavori di recupero del prezioso altare ligneo dell’Addolorata, i restauratori, rimossi i primi frammenti della vecchia vernice, hanno scoperto, con sorpresa, che la struttura di legno era interamente rivestita da una finissima lamina d’argento. In alcuni punti il metallo è stato perfino sottoposto a una doratura ottenuta con l’applicazione di un’antica tecnica, la meccatura, usata dagli ebanisti nel periodo a cavallo tra la fine del Seicento e i primi del Settecento. Si tratta della stesura di una sostanza, la mecca, che a contatto con l’argento assume una colorazione in tutto simile all’oro. La scoperta risale ai giorni scorsi e certamente conferisce particolarità all’antica cappella di proprietà dell’arciconfraternita dei Servi di Maria, collocata in fondo a destra, prima dell’altare maggiore. Non è tutto, infatti da una prima verifica fatta da Sergio Gnozzi, il restauratore a cui è stato dato l’incarico di riportare l’altare all’antico splendore, sembra che sotto il primo strato di vernice ci siano tracce di precedenti verniciature, almeno quattro, realizzate nel corso dei secoli. Ci vorranno circa quattro mesi di lavoro per recuperare totalmente il prezioso manufatto, di cui non si conosce l’autore, ma che, quasi certamente, risale alla prima metà del Settecento. «Purtroppo - ha spiegato Mario Dau, priore dell’arciconfraternita dei Servi di Maria - potremo restaurare solo il basamento, per la parte superiore, compresa la nicchia della Madonna, dovremo pazientare». L’intervento, sotto la direzione scientifica di Laura Donati, della Soprintendenza alle Belle arti di Sassari, è stato avviato grazie a un contributo di diecimila euro stanziato dalla Fondazione di Sardegna che ha accolto l’accorata richiesta di Mario Dau dopo la presentazione di un dettagliato progetto di recupero. L’altare e la relativa cappella hanno la loro storia, la chiesa, edificata in stile Barocco di derivazione continentale, intitolata, a partire dal XVI secolo, ai Servi di Maria, è stata terminata nel 1709. La cappella dell’arciconfraternita, però, è parte del nucleo originario di un preesistente edificio sacro, cinque-seicentesco, poi rimaneggiato per la costruzione di quello attuale che sorge in piazza Sant’Antonio nel punto esatto in cui, quando Sassari era città murata, si apriva la porta medievale di San Biagio.

Dal 1727, nella cappella dell’Addolorata, ancora oggi, dopo più di tre secoli, la settimana che precede il Venerdì santo si celebra il settenario con la recita del Rosario accompagnato dallo Stabat mater. In quell’occasione i Servi di Maria espongono al pubblico il simulacro della Vergine trafitta da sette spade (i sette dolori) che viene portato in processione la mattina del venerdì santo.

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