La Nuova Sardegna

Sassari

Una generazione senza stipendio che non fa festa

di Gianni Bazzoni
Una manifestazione per il Primo Maggio
Una manifestazione per il Primo Maggio

La festa del lavoro che non c’è, attorniati da un silenzio che ormai è la colonna sonora di un fallimento. Forse anche il sonnifero per addormentare le ultime reazioni

01 maggio 2016
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SASSARI. La festa del lavoro che non c’è, attorniati da un silenzio che ormai è la colonna sonora di un fallimento. Forse anche il sonnifero per addormentare le ultime reazioni, per rendere vane le vertenze di chi ancora crede nella lotta come strumento per conservare dignità e difendere i propri diritti.

Primo maggio di festa, ma non più del lavoro. I sindacati fanno sempre più fatica a tenere insieme i fili di una giornata che è stata simbolo - nel territorio del nord Sardegna soprattutto - di mille battaglie, alcune anche originali e che hanno saltato i confini regionali. Sfide perse, perché se si ignorano i problemi reali della gente, quelli di tutti i giorni, è anche inutile parlare del lavoro che verrà. É finita la cassa integrazione e la mobilità, chi aveva solo ammortizzatori sociali ora non ha più niente. Disoccupati senza meta, a 45 e 57 anni. Troppo giovani per andare in pensione, troppo vecchi per ricominciare da capo a cercare lavoro.

Quale lavoro? Quello delle campagne mediatiche del Governo nazionale o quello annunciato tra speranze e ipotetiche proiezioni cartacee dalla giunta regionale?

Al di là delle parole, contano i fatti. Le vertenze industriali si sono spente e non è stata costruita nessuna alternativa credibile. Anzi, ogni volta è stato facile alimentare la giostra delle illusioni, fare credere che una festa di piazza, una sagra, un concerto ben riuscito potessero spalancare le porte all’economia turistica. Non è così, i dati lo confermano. La disoccupazione è aumentata, è cresciuto l’esercito di quelli che cercano il lavoro e non l’hanno mai trovato. I giovani cominciano a invecchiare senza avere neppure provato l’esperienza di un giorno da lavoratore. E il futuro - tracciato nei giorni scorsi dal presidente dell’Inps, il professor Tito Boeri - è drammatico: a 75 anni saranno vecchi senza pensione.

Così fa rabbrividire l’affermazione dei giorni scorsi fatta da un imprenditore: «Ogni volta che muore un padre anziano, uno zio o un nonno pensionato, si creano le condizioni per avere nuovi barboni». Un modo brutale per dire che nel 60 per cento delle famiglie il reddito è garantito dai pensionati, da chi ha lavorato e fatto sacrifici una vita e oggi deve continuare a stare in prima linea per una lotta che è quella della sopravvivenza.

A guardarsi indietro, viene solo tanta tristezza. Il Sassarese era l’esempio delle manifestazioni operaie, del popolo che difendeva il lavoro perché senza lavoro non c’è dignità. E quelle tute blu della fabbrica erano capaci di iniziative eclatanti, come quella volta che i metalmeccanici - negli anni Settanta - portarono le pale meccaniche e le gru in piazza d’Italia, nel salotto buono della città. É un ricordo sbiadito. Oggi c’è una generazione che è stata quasi totalmente saltata dal lavoro, non è riuscita a prenderlo neppure al volo. E una generazione senza lavoro è a rischio in tutti i sensi, ma non se ne avverte la gravità e di conseguenza manca anche il senso di responsabilità.

Primo maggio amaro, per festeggiare un lavoro che non c’è. Perché quel diritto costituzionale è riservato sempre più a u. na cerchia ristretta di persone.

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