Una generazione senza stipendio che non fa festa
La festa del lavoro che non c’è, attorniati da un silenzio che ormai è la colonna sonora di un fallimento. Forse anche il sonnifero per addormentare le ultime reazioni
SASSARI. La festa del lavoro che non c’è, attorniati da un silenzio che ormai è la colonna sonora di un fallimento. Forse anche il sonnifero per addormentare le ultime reazioni, per rendere vane le vertenze di chi ancora crede nella lotta come strumento per conservare dignità e difendere i propri diritti.
Primo maggio di festa, ma non più del lavoro. I sindacati fanno sempre più fatica a tenere insieme i fili di una giornata che è stata simbolo - nel territorio del nord Sardegna soprattutto - di mille battaglie, alcune anche originali e che hanno saltato i confini regionali. Sfide perse, perché se si ignorano i problemi reali della gente, quelli di tutti i giorni, è anche inutile parlare del lavoro che verrà. É finita la cassa integrazione e la mobilità, chi aveva solo ammortizzatori sociali ora non ha più niente. Disoccupati senza meta, a 45 e 57 anni. Troppo giovani per andare in pensione, troppo vecchi per ricominciare da capo a cercare lavoro.
Quale lavoro? Quello delle campagne mediatiche del Governo nazionale o quello annunciato tra speranze e ipotetiche proiezioni cartacee dalla giunta regionale?
Al di là delle parole, contano i fatti. Le vertenze industriali si sono spente e non è stata costruita nessuna alternativa credibile. Anzi, ogni volta è stato facile alimentare la giostra delle illusioni, fare credere che una festa di piazza, una sagra, un concerto ben riuscito potessero spalancare le porte all’economia turistica. Non è così, i dati lo confermano. La disoccupazione è aumentata, è cresciuto l’esercito di quelli che cercano il lavoro e non l’hanno mai trovato. I giovani cominciano a invecchiare senza avere neppure provato l’esperienza di un giorno da lavoratore. E il futuro - tracciato nei giorni scorsi dal presidente dell’Inps, il professor Tito Boeri - è drammatico: a 75 anni saranno vecchi senza pensione.
Così fa rabbrividire l’affermazione dei giorni scorsi fatta da un imprenditore: «Ogni volta che muore un padre anziano, uno zio o un nonno pensionato, si creano le condizioni per avere nuovi barboni». Un modo brutale per dire che nel 60 per cento delle famiglie il reddito è garantito dai pensionati, da chi ha lavorato e fatto sacrifici una vita e oggi deve continuare a stare in prima linea per una lotta che è quella della sopravvivenza.
A guardarsi indietro, viene solo tanta tristezza. Il Sassarese era l’esempio delle manifestazioni operaie, del popolo che difendeva il lavoro perché senza lavoro non c’è dignità. E quelle tute blu della fabbrica erano capaci di iniziative eclatanti, come quella volta che i metalmeccanici - negli anni Settanta - portarono le pale meccaniche e le gru in piazza d’Italia, nel salotto buono della città. É un ricordo sbiadito. Oggi c’è una generazione che è stata quasi totalmente saltata dal lavoro, non è riuscita a prenderlo neppure al volo. E una generazione senza lavoro è a rischio in tutti i sensi, ma non se ne avverte la gravità e di conseguenza manca anche il senso di responsabilità.
Primo maggio amaro, per festeggiare un lavoro che non c’è. Perché quel diritto costituzionale è riservato sempre più a u. na cerchia ristretta di persone.