La Nuova Sardegna

Sassari

Migranti in piazza per il pocket money

di Andrea Massidda

Gli ospiti del centro accoglienza inscenano una manifestazione tra le vie del paese: «Niente diaria da metà settembre»

12 novembre 2015
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INVIATO A CARGEGHE. Cambia l'ambientazione, ma i protagonisti e il copione sono sempre gli stessi: i migranti ospiti di un centro accoglienza che scendono in piazza per protestare contro le condizioni di soggiorno offerte loro dai gestori della struttura. Dopo le rivolte dell'estate scorsa a Valledoria e Palmadula, ieri mattina la medesima scena si è ripetuta pari pari a Cargeghe, seicento abitanti a diciotto di chilometri da Sassari, dove una sessantina di giovani africani in attesa dello status di rifugiati e sistemati all’interno degli ex uffici della Coinsar (la fabbrica ormai dismessa specializzata in produzione di materiale per l'edilizia) ha pacificamente manifestato per rivendicare un migliore trattamento e soprattutto il pagamento regolare del cosiddetto pocket money, ossia la diaria di 2,50 euro che lo Stato elargisce a ognuno dei profughi attraverso i titolari del centro. Peccato, però, che molto spesso questi ultimi non siano assolutamente in grado di anticipare tali somme e che di conseguenza tutto ciò finisca per generare grandi malumori tra chi si illude di poter contare su quella somma e non poi la riceve. Nel caso specifico, a non vedere un centesimo da metà settembre sono esattamente 147 persone. «La situazione dovrebbe risolversi presto – rivela Gavino Piras, un volontario che collabora con i gestori della Casa di riposo Regina Margherita –, almeno così ci hanno detto qualche giorno fa in prefettura. Speriamo sia davvero così: al di là di quello che raccontano sull’ospitalità, se questi ragazzi hanno deciso di scendere in piazza è soltanto perché vogliono ogni giorno i soldi che gli spettano per legge».

Spiegata l'origine della protesta? Non esattamente. Sotto lo sguardo incuriosito dei cittadini di Cargeghe e quello vigile di carabinieri e polizia (Digos compresa), il gruppo di manifestanti ha sfilato senza creare problemi di ordine pubblico, ma facendo sentire il suo disappunto con slogan e cartelli sui quali era scritto «non trattateci come schiavi». Esagerazioni? Probabilmente sì. «L’ex fabbrica di calcestruzzo non è certamente un albergo a cinque stelle – continua Piras –, ma nonostante tutte le difficoltà le condizioni di vivibilità sono garantite. E certe critiche sono pretestuose e ingenerose» .

Non la pensa così Jeròme, 40 anni, originario della Costa d’Avorio, che quattro mesi fa era stato salvato da una nave Belga mentre assieme ad altri cento compagni di ventura tentava di attraversare il Mediterraneo. «Non è vero che i gestroi del centro accoglienza rispettano le regole – racconta facendosi portavoce di un folto gruppo di giovani africani –, anzi diciamo subito che a parte la questione del pocket money, per noi importantissima, lascia a desiderare anche il cibo. Da mangiare ci danno sempre e soltanto pasta o riso, per vedere un po’ di carne, cioè proteine, dobbiamo spettare la domenica, quando ci preparano il pollo». Una versione che tuttavia sarebbe smentita da chi sta in cucina.

Ma Jeròme va oltre i pasti e parla anche del gelo che molti di loro provano la notte. «Adesso comincia a fare freddo – aggiunge – è necessario che ci diano delle coperte e non soltanto le lenzuola come d’estate, e poi abbiamo bisogno di un medico che passi in sede, ma che invece non si vede mai».

Chi ha ragione tra migranti e gestori? Sarà la prefettura ad accertarlo, anche attraverso i controlli di routine che vengono svolti in tutti i centri accoglienza del territorio. Nel frattempo Stefano Oggiano, primo cittadino di Cargeghe, segnala che un’oggettiva situazione di disagio esiste. «Non possiamo far finta di non vedere – spiega –, si tratta di una sistemazione totalmente inadeguata, qui i ragazzi sono abbandonati in mezzo al deserto, intorno a loro non c'è niente. Per il resto posso dire che questi migranti si sono sempre comportanti rispettosamente e non hanno mai dato adito a malumori tra i miei compaesani».

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