La Nuova Sardegna

Sassari

La storia di Fausto Orizi: «Durante la guerra suonavo con Fred Buscaglione»

Pier Giorgio Pinna
L'orchestra della divisione Calabria con Fausto Orizi (2° da sinistra in piedi) e Fred Buscaglione (4°)
L'orchestra della divisione Calabria con Fausto Orizi (2° da sinistra in piedi) e Fred Buscaglione (4°)

La lunga carriera del trombettista sassarese scomparso a 95 anni

09 novembre 2015
12 MINUTI DI LETTURA





SASSARI. Il musicista sassarese Fausto Orizi è morto a 95 anni domenica 8 novembre 2015. Con la sua tromba «Rondinella» fu protagonista di un'indimenticabile stagione di spettacoli, balli e divertimento negli anni '50 e '60, tra Sassari, Platamona e Porto Torres.

Nel 2004 il nostro giornale dedicò un paginone a Fausto Orizi. Ecco l'articolo che ripercorre la sua carriera e rievoca in particolare l'amicizia con Fred Buscaglione.

«C'ERA LA GUERRA E IO FACEVO MUSICA CON FRED BUSCAGLIONE»

di PIER GIORGIO PINNA

dalla Nuova Sardegna dell'11 gennaio 2004

[[atex:gelocal:la-nuova-sardegna:sassari:cronaca:1.12415112:gele.Finegil.Image2014v1:https://www.lanuovasardegna.it/image/contentid/policy:1.12415112:1653343285/image/image.jpg?f=detail_558&h=720&w=1280&$p$f$h$w=d5eb06a]]

Questa è la storia di un uomo e della sua tromba. Lui si chiama Fausto Orizi, lei Rondinella. Ma è anche la storia di Fred Buscaglione, di un amore per la musica che fa risplendere la vita, di anni travolgenti. E della Sassari del Dopoguerra: spaccati di realtà urbana dai contrasti a volte aspri. Emozioni e illusioni di nuove generazioni, intrecciate in larga misura con vicende personali frammentate, inclassificabili. Sullo sfondo una Sardegna ancora incapace di dimenticare gli orrori e il sangue, eppure decisa a credere in un riscatto che sembra proprio li, a portata di mano.

Sempre pronta - quest'isola, quest'Italia - a ricominciare: costi quel che costi, nonostante tutto. E a stupirsi per le prime Topolino e le prime Seicento, per i modernissimi frigo a gas, per televisori in bianco nero col primo canale che è pure l'ultimo. A restare di stucco per quei mini traghetti che, meraviglia delle meraviglie, hanno nomi molto poco marini come «Gennargentu» e «Città di Nuoro», ma ti portano dall'altra parte del Tirreno in una sola giornata anziché sottoporti a viaggi estenuanti.

[[atex:gelocal:la-nuova-sardegna:sassari:cronaca:1.12414737:gele.Finegil.StandardArticle2014v1:https://www.lanuovasardegna.it/sassari/cronaca/2015/11/09/news/addio-a-fausto-orizi-suono-con-fred-buscaglione-1.12414737]]

Poi, tutti insieme, col naso all'insù, a lasciarsi incantare dai voli di linea regolari, a chiedersi come sia possibile che gli aerei funzionino come bus dell'aria. E tutti - più o meno insieme - a scoprire il boom economico, il posto fisso in cantiere o in banca, le case popolari, le mattine d'agosto sulle spiagge assolate e qualche notte di passione trasgressiva. Solamente più tardi arriveranno le note dei Beatles, i radiogiornali sui piani di Rinascita, le notizie su Antonio Segni Presidente, i quotidiani con i misteri dell'omicidio di Jfk, le imprese spaziali di Gagarin, i blitz di Graziano Mesina, le cannonate di Gigi Riva.

Nel frattempo, in quei magici Anni 50, un'intera società apre gli occhi su un mondo che cambia in fretta. Un mondo dove la gente vuole vivere meglio che in passato. O, almeno, sogna di farlo. A volte con la musica. Magari attraverso la voce un po' roca di un signore dai baffi neri alla Clark Gable, mezz'etto di brillantina sui capelli, la sigaretta sempre a un angolo della bocca. Un cantante registrato all'anagrafe come Buscaglione Ferdinando, già famoso, più semplicemente, come Fred dal whisky facile.

Autore, compositore, attore, artista di razza ... quel funambolico Fred. Interpreta, con pose paradossali e grottesche, il duro un tantino sregolato. Cosi, sul palcoscenico, diventa un bullo che, in stile criminalsong, ricorda alla sua donna: «Eri piccola, piccola, piccola: cosi!». Poi, mentre misura col pollice e l'indice la microscopica statura della bambolina, lei lo stende con tre revolverate: bang! bang! bang! ... e intanto la tromba di Fausto Orizi, lontano, suona più forte, forte come la voglia di vivere di quegli anni.

Ma questa storia, come quella di Rondinella e di Buscaglione, ha inizio un po' prima del grande successo del personaggio che si atteggia a gangster di periferia. Fausto Orizi la racconta di getto, come un assolo da eseguire in fretta.

Sbarco nell'isola. «Tutto comincia a Sassari, nel 1940. Il 12 marzo arrivo alla stazione ferroviaria dal mio paese, nelle Marche. Devo fare il servizio militare nella divisione «Calabria», di stanza alla caserma La Marmora, in piazza Castello, quello che poi scoprirò essere il cuore della città. Sono amareggiato. Non sarei voluto partire. Soprattutto non avrei voluto fare la leva in Sardegna. Da noi, sulla penisola, la descrivono a tinte fosche. Dicono che non dobbiamo parlare con le donne né avvicinarle, pena pesanti rappresaglie. E invece, appena sceso dal treno insieme con decine di commilitoni appena arruolati, tutti con la divisa nuova, ho già la mia prima fantastica sorpresa: ad aspettarci ci sono due ali di folla, la gente ci saluta e applaude forte, nelle file più vicine a noi vedo tantissime ragazze che ci sorridono felici. Dentro di me penso: ma che frottole mi hanno raccontato! Qui mi sembra di stare in paradiso.

[[atex:gelocal:la-nuova-sardegna:foto:1.12415370:MediaPublishingQueue2014v1:https://www.lanuovasardegna.it/foto/2015/11/09/fotogalleria/fausto-orizi-fred-buscaglione-e-lo-swing-a-platamona-1.12415370]]

«Dal Comando apprendo di non essere arrivato a Sassari per caso. Tra i vertici militari c'è qualcuno che ama la musica e ha scelto proprio il nord dell'isola per costituire un'orchestra dell'esercito. Io, che sono nato nell'agosto del '20 a Colmurano, in provincia di Macerata, sono stato scelto per una ragione precisa. In quel piccolo centro di 1500 anime, le stesse di oggi, sin da quando avevo sei anni ho imparato la musica. Mio padre era un piccolo commerciante, mia madre una casalinga. Ero l'ultimo di quattro fratelli: ormai se sono tutti andati, poveretti, anche tre mie sorelline che non ho mai conosciuto perché sono morte bambine. Ma dov'eravamo rimasti? Ah, si: ... io facevo il chierichetto nella chiesa del paese quando arrivò un giovane sacerdote appassionato di Verdi e Mozart. M'insegnò lui a suonare. Cosi imparai a darmi da fare con la mia prima tromba. E qualche anno più tardi, non appena andò via, mi trasferii a Recanati, dal mio fratello maggiore. Mi mantenevo con lavoretti da apprendista sarto. Ma anche il mio maestro, in bottega, era un amante del bel canto. Cosi, appena potevo, mentre lui mi faceva una strizzatina d'occhio, correvo a suonare nella meravigliosa orchestra diretta dal napoletano Cuffaro e finanziata dal grande Beniamino Gigli. Si, proprio lui: era nato da quelle parti e non ha mai dimenticato la sua città. Che poi, detto per inciso, è anche quella di Leopardi. Comunque, quello è stato un periodo stupendo. Nelle feste paesane, a suonare, andavamo a piedi, con gli strumenti in spalla. Ma neppure le scarpinate di chilometri e chilometri mi spaventavano. Io suonavo sempre la tromba. Provavo con gli altri tre volte la settimana, poi ogni domenica c'erano le esibizioni. E' allora che ho imparato ad appassionarmi per tutte le opere italiane, per Ciajkowsky e Musorgskij. Una volta - avevo 17 anni - siamo andati sino a Napoli: era il 1937, il centenario della morte di Leopardi, e noi abbiamo suonato per un concerto commemorativo.

«Ma torniamo a Sassari e alla primavera del '40. In caserma scopro che, come me, ci sono altri musicisti. Faccio amicizia. Lego con tutti. Noi dell'orchestra, in sostanza, siamo esentati da marce, addestramenti e altre rigide regole militari. La città mi piace, le ragazze anche. Ho quasi scordato già che all'inizio, arrivando qui, stavo per piangere. Con la banda militare ci esercitiamo allo Stadio dei pini, in periferia. Il 10 giugno in piazza d'Italia gli altoparlanti fanno sentire Mussolini che dichiara guerra alla Francia e all'Inghilterra. Mi vengono i brividi. Nonostante sia quasi estate, ci aspettano mesi cupi e anni ancora peggiori. Far parte dell'orchestra diventa l'ambizione di tutti. Ma resteremo sempre 35-40, non di più.

Lo spaccone. «Poi, nell'inverno del '41, da Torino arriva Buscaglione. E' solo un ragazzo di vent'anni, fresco di stellette come noi. Fa un po' lo spavaldo. Insomma, ci sembra uno sbruffone. Si vede però che ha un buon carattere. In Piemonte suonava già. E non appena capisce l'opportunità offerta dall'orchestra, la coglie al volo. E' bravo. Molto bravo. Suona quasi tutti gli strumenti: dal contrabbasso alla fisarmonica, dal piano al clarinetto. Canta, anche. E con una bella voce. Si fa notare, ha i numeri. E per questo entra in rotta di collisione, ogni tanto, con l'altro personaggio dalla forte tempra appena sbarcato in Sardegna e subito assegnato da noi, Giulio Libano, di Vigevano. Trombettista jazz, diventerà compositore e direttore d'orchestra, e con la canzone «Bambina» farà un sacco di soldi in Usa.

«Nel '42 arriva anche il maestro Manlio Bajardo. E' il direttore artistico: aveva studiato in Ungheria e li si era diplomato al conservatorio (dopo la guerra morirà in circostanze drammatiche, travolto dal rio Mannu in piena). Un suo pari grado sassarese, il capitano Cordella, è responsabile della logistica legata all'attività di noi orchestrali. Tutti e due sono agli ordini di un generale che apprezza la buona musica. Loro fanno il possibile per compiacerlo. Intanto le file del complesso s'ingrossano. Nel gruppo entrano Paolo Galleri, abilissimo caricaturista, che per noi all'epoca faceva lo scenografo, e il comico romano Sabatini, spassosissimo imitatore di Totò.

«Tutto sommato, nonostante la guerra divampi ovunque nel mondo, noi restiamo un reparto felice in un'isola felice. Con molti amici e molte amiche che vengono a trovarci nel nuovo distaccamento dall'inizio del '43 allestito solo per noi vicino al teatro Robur. Sorgeva non lontano dall'istituto d'arte, sempre nel centro di Sassari. Ogni occasione, nonostante i tempi difficili, è buona per far festa. E Buscaglione è sempre dei nostri. Allegro, spiritoso, incontenibile. La musica gli piace sempre di più. E con le ragazze si dà da fare ... oh, come si dà da fare.

«La firma dell'armistizio ci sorprende mentre facciamo un'esibizione per le truppe a Olbia. Sentiamo i tedeschi parlare di tradimento. In fretta, risaliamo sul nostro autocarro militare e ritorniamo a Sassari. Ma dall'8 settembre tutto migliora. Con la collaborazione degli americani nasce Radio Sardegna. Un comando dell'esercito Usa si disloca vicino alla chiesa di San Giuseppe. E Buscaglione è sempre più scatenato. Con i soldati dello zio Sam ha rapporti stretti. Soprattutto con quelli che amano il jazz. Ogni tanto scappa per cantare e ballare con loro. Nessuno lo tiene a freno. Come noi ascolta alla radio i pezzi finalmente trasmessi anche in Italia di Duke Ellington, di Louis Armstrong, della mitica Bessie Smith e di Dizzy Gillespie.

Radio Sardegna. «Passano altri due anni. Il conflitto continua, ma non per noi. Nel frattempo, Buscaglione viene nominato direttore dell'orchestra e diventa sergente. Ma ogni tanto se la squaglia per suonare da altre parti. Va spesso a Cagliari, per esibirsi nella sede di Radio Sardegna e registrare qualcosa di suo. Una volta, però, non chiede il permesso. Sparisce e basta. Nessuno sa dove sia finito. Si ripresenta dopo 4-5 giorni, quando sono già scattate le ricerche per diserzione. Nonostante le guasconate, è ben voluto. Gli evitano la denuncia penale, ma lo degradano. Tornato soldato, non si scompone: per lui contano solo lo swing e un altro genere che sta arrivando dall'America, il bop. Ama però la grande musica italiana, e in quel periodo compone anche il testo e la musica di un brano originale. Si chiama «Il vecchio Pedro». Lui la canta interpretando la parte di un messicano un po' avanti negli anni e con qualche difficoltà a rapportarsi col mondo.

«Poi, finalmente, un bel giorno del ’45 giunge la notizia che aspettiamo più di ogni altra: la guerra è finita. Non rientriamo però a casa subito. Per il congedo bisogna pazientare ancora un po’. Buscaglione scalpita per tornarsene a Torino. Passa il testimone della direzione dell’orchestra a Giulio Libano. Io, invece, che nel frattempo mi sono fidanzato con una ragazza sassarese, dopo il congedo preferisco restare qui anche da civile. Ma di sola musica non si campa. E così riprendo a fare il sarto, nell’atelier Campus, in largo Cavallotti: 10-12 ore al giorno a tagliare e a cucire stoffe. Un giorno del ’46, da Torino, Buscaglione mi chiede di andare a suonare con lui. Mi piacerebbe molto. Ma sono costretto a rifiutare: troppo rischioso. L’anno successivo mi sposerò, andrò a vivere in una casa di piazza Sacro Cuore, al Monte Rosello. Lui in Sardegna tornerà solo all’inizio degli Anni 50 per cantare allo Scogliolungo di Porto Torres, seguito da avvenenti ballerine.

[[atex:gelocal:la-nuova-sardegna:sassari:cronaca:1.12415158:gele.Finegil.StandardArticle2014v1:https://www.lanuovasardegna.it/sassari/cronaca/2015/11/09/news/sassari-trombettista-fausto-orizi-la-stagione-d-oro-degli-spettacoli-a-platamona-1.12415158]]

«Intanto, nascono i figli, tre, e io sono sempre più impegnato. Entro anche nella «Canepa » diretta dai maestri Crovetti e Condolucci. Di giorno in sartoria, la sera e la notte suonare. Sia per la banda sia in un complessino. Tra tutti e due i lavori, dormendo 3-4 ore a notte, riesco a guadagnare bene. Poi, una mattina di febbraio del ’60, la notizia che non avrei mai voluto sentire. Sono in bagno che ascolto la radio mentre mi faccio la barba: dicono dell’incidente mortale a Ferdinando. Resto di sasso: anche per me è un colpo al cuore.

«Ma la mia vita deve continuare. Per la musica sono ancora periodi caldi. Con la band degli Swing, arricchita dalla presenza del grande Francesco Serra, ce la spassiamo per molti altri anni, sino all’82: tutto il repertorio contemporaneo italiano e straniero di musica leggera è nostro. Suoniamo a Platamona, ad Alghero, nei locali della costa, persino in un night con entraineuses sorto per qualche mese a Sassari nell’Emiciclo Garibaldi e nel vicino Bar Scavio. Ogni tanto tornavamo alla Robur. Un affollamento incredibile: tra fumo e calore umano, c’era persino una statua di legno raffigurante un’africana che sembrava sudasse.

«Non mi basta. Ormai il sarto lo faccio solo in casa. Più tardi smetto del tutto. Studio storia della musica. Grazie a un amico che mi registra le lezioni, Mario Pintus, frequento corsi che mi consentono di prendere il diploma e così comincio a insegnare alle Medie e al Conservatorio di Sassari, poi ad Alghero. Qui divento direttore della banda cittadina «D’Alerci» e, qualche anno più tardi, in contemporanea, della «Città di Sassari». Con le melodie tratte dal jazz svecchio un po’ i repertori. Alla fine entro nella «Canepa» e giro il mondo. Bene, lo confesso: in quel coro ci sono ancora».

Il lungo racconto si avvia alla conclusione. Un’intera esistenza ripercorsa rapidamente, per flashback, dal bianco e nero di ieri ai colori accesi della società di oggi. Ma Fausto Orizi, 83 anni portati con disinvoltura, ha un buon rapporto col passare del tempo: non lo sente come un peso. Nell’84 ha perso la prima moglie, nel ’92 si è risposato trasferendosi in un altro rione di Sassari, la zona alta di Cappuccini. Adesso, a sentirlo parlare con tanto fervore, ricorda un po’ il celebre psicanalista Cesare Musatti, quando a 92 anni, un paio prima di morire, a chi gli chiedeva che cosa fosse per lui la vecchiaia rispondeva con flemma: «Non lo so, la sto aspettando».

Ancora oggi, sempre a piedi da un quartiere all’altro della città, da buon musicista ex combattente, il maestro Orizi ritorna nella sua prima casa del Monte Rosello quasi tutti i giorni. Ed è qui, tra i ritagli dei giornali e le foto più care, che, all’improvviso, si fa assorto passandosi una mano sugli occhi. Per qualche istante li tiene chiusi. Poi li riapre, come se volesse mettere a fuoco immagini del passato: «Un bilancio? Non è facile. Certo la musica per me è stata tutto. Così com’è successo a Buscaglione, a Libano e ad altri. Io però ho avuto fortuna. Molta fortuna. Sin da ragazzo ho ricevuto in dono un talento che mi ha sempre accompagnato: la capacità di trasmettere al pubblico le stesse emozioni che provo io quando suono la tromba, la mia Rondinella».

Forse, nell’arte come nella vita, avevano davvero ragione i Beatles a cantare l’amore che prendi/è uguale all’amore che dai. Idealmente l’ultimo brano registrato dal gruppo di Liverpool. Appena poche note, due soli versi, un testamento in musica. S’intitola The End

In Primo Piano
Tribunale

Sassari, morti di covid a Casa Serena: due rinvii a giudizio

di Nadia Cossu
Le nostre iniziative