La Nuova Sardegna

Sassari

Tutti in coda per ore per visitare il “lager”

di Nadia Cossu
Tutti in coda per ore per visitare il “lager”

Folla nella prima giornata di apertura dell’ex istituto di pena di via Roma Un detenuto fa da guida: «Era un inferno eppure oggi mi sento a casa»

23 marzo 2014
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SASSARI. «La cosa più brutta è sentirlo tuo questo posto». Girare tra le celle di San Sebastiano da visitatore qualunque è un conto, farlo da ex detenuto significa «sentirti terribilmente a tuo agio, come fossi a casa». E, purtroppo, vuol dire anche ripiombare nell’incubo di quei tanti, troppi giorni, vissuti tra le mura di un penitenziario che di umano aveva ben poco.

Roberto (nella foto a destra) sta scontando un cumulo pena di undici anni per reati vari. «Tra una cosa e l’altra – dice guardandosi intorno – qui dentro ho passato vent’anni della mia vita». Oggi ha diritto a lavorare all’esterno, come previsto dall’articolo 21 dell’ordinamento penitenziario. È un esperto di informatica e sta lavorando nel progetto per il recupero e la digitalizzazione dell’archivio di Tramariglio. Di giorno lavora e di notte rientra a Bancali.

Lui ieri, nella prima giornata di apertura di San Sebastiano alla gente, è stato una guida perfetta non soltanto per riuscire a districarsi tra stanze, muri e grate del carcere ma per conoscere i sentimenti, i timori, il profondo disagio che un detenuto era costretto a vivere appena metteva piede nell’istituto di via Roma. Adesso, vedendolo così affollato, quel carcere fa meno paura. Migliaia di persone sono rimaste in coda dalla mattina, ininterrottamente fino alle 18. Un lavoro impeccabile quello del Fai, con gli studenti e i volontari a fare da Cicerone nei meandri dell’istituto. Moltissimi quelli che a un certo punto della serata hanno dovuto abbandonare la fila: gli organizzatori hanno chiuso i cancelli. Troppi i visitatori, appuntamento rimandato a oggi, stessa ora: 10-18.

«Il ricordo peggiore – racconta Roberto mentre cammina tra le celle e spiega a qualcuno come funzionava la vita lì dentro – è l’acqua fredda. Lavarsi con la sensazione di avere il ghiaccio sulla pelle, non riuscirò a dimenticarlo mai. Così come era triste, al momento dell’ingresso, vedere gli agenti che non sapevano dove sbatterti. Nel 2010 mi sono trovato a dividere la cella con musulmani, ebrei, 14 persone in uno spazio di 30 metri quadri, un fornellino per tutti nel bagno in comune: cucinavamo nello stesso posto in cui facevamo i bisogni». Ora Roberto finirà di scontare la pena a Bancali, un altro ambiente. Chi è in regime di semilibertà sta in un’ala a parte. Lui è impegnato in un progetto importante: dopo la prima assunzione con una sorta di borsa di studio da parte della ditta coop Digitable di Oristano ha conseguito il patentino europeo di informatica e sogna di poter «costruire un futuro nuovo quando sarò completamente libero». Di sicuro lui è sulla buona strada. «Ma è il mondo lì fuori che non è pronto ad accoglierci». Il vero limite è proprio questo.

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