La Nuova Sardegna

Sassari

«Così Giuseppe Dore picchiava i malati di Alzheimer»

di Elena Laudante
«Così Giuseppe Dore picchiava i malati di Alzheimer»

Intervista con Davide Casu, che conferma le accuse: «Il fondatore della psiconeuroanalisi si divertiva»

10 agosto 2012
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SASSARI. Strizza gli occhi di fastidio quando pensa alle scene alle quali ha assistito. Gira la faccia di lato, quasi a voler scacciare quelle immagini «degne di Auschwitz». «Quando ho visto Dore fare le occhiaie rosse a una paziente a suon di schiaffi non ce l’ho fatta più. In alcuni casi, lui rideva, si divertiva». Nonostante tutto sorride ancora Davide Casu. Quarantuno anni di Ittiri, ex muratore, ex agente di commercio, ora è supertestimone: col suo racconto - poi riscontrato dalla Procura di Sassari - ha squarciato il velo sui presunti orrori «del metodo-Dore». Malati picchiati e vessati in nome di una sorta di “rinascita” - svela in riferimento alle teorie di Giuseppe Dore, il neurologo sotto accusa - in un «uomo nuovo» dal sapore nietzschiano. Che però passava per la violenza su esseri inermi, sorta di cavie del Dore-pensiero. Casu dovrà affrontare un processo da imputato - in virtù delle sue stesse confessioni - quale ex braccio destro del “Messia della Psiconeuroanalisi”, in cella da venerdì 4 agosto. In questa intervista rilasciata all’indomani delle ennesime minacce di morte ricevute, assicura di non avere paura. E di non voler arretrare di un solo centimetro nella sua testimonianza. «Non c’è motivo, ho detto solo la verità».

Perché ha deciso di raccontare delle “terapie” praticate a Ittiri? I testimoni talvolta non hanno vita facile.

«So che sono definiti infami o altro. A me non importa delle etichette che mi appiccicano. Ho deciso di parlare non perché sia coraggioso, ma per un senso di giustizia verso quei malati. Per quelli picchiati quando c’ero io, ma anche per tutti gli altri che avrebbero potuto fare la stessa fine».

Ripercorre «quei tre mesi da incubo» al tavolino di un bar davanti a un bicchiere di latte e menta, che sorseggia tra una Marlboro e l’altra (ne fumerà quattro in un’ora). Ogni tanto si sistema il ciuffo che tiene su capelli lunghi quasi fino al collo, a cornice degli occhi nocciola. Li socchiude - dietro gli occhiali - nei suoi molti sorrisi. Quasi ostenta controllo, nonostante il giorno prima degli arresti sia stato circondato da un gruppo di persone, presumibilmente parenti di malati ancora affascinati da Dore, che non hanno usato perifrasi.

È stato minacciato per la seconda volta. Non ha paura?

«Si sono avvicinati a me, per strada a Sassari, forse erano una decina. Uno mi ha detto: Non fuggire tanto di ritrovo e ti sparo in faccia. Ma non ho timori perché ho fatto quello che dovevo. Dovevo interrompere le violenze».

Anche lei era ammaliato dalle idee quantomeno discutibili di Dore, che miscelano evoluzionismo, Big Bang, Kabbalah e superomismo. Qual è stato il punto di non ritorno?

«Quando ho visto Giuseppe (Dore, ndc) picchiare una malata fino a farle diventare le borse degli occhi rosse. Ho capito di dover uscire da quell’incubo: ho lasciato l’Aion e dopo due mesi sono andato dai carabinieri. Ma forse il momento più difficile è stato quando ho affiancato nelle “cure”, per la prima volta, Alfonso Di Stavolo, badante di un malato (tra gli indagati). È crollato il castello di carte della “terapia” di Dore: era completamente diversa dalla teoria».

Non poteva contestare le violenze?

«Ho provato a far capire a Dore che non servivano a niente, che era troppo. Sa cosa vuol dire tenere sveglio un malato di demenza per 48 ore? È terribile vedere aggressioni su persone che non possono difendersi. Quasi non si riesce a crederlo. Ma lui non ascolta nessuno. Anzi, a volte rideva, si divertiva, perché credeva di creare un “uomo nuovo”».

Dore dice che lei si è vendicato per essere stato cacciato dall’associazione.

«Capisco che nella sua posizione debba dire tutto quello che può per difendersi. Stesso discorso per i parenti dei malati. Ma ignorano molte cose, anche quello che Dore pensava di loro. In realtà, non provo rancore per lui, anche se mi ha accusato di ogni nefandezza, persino di pedofilia. Eppure io non l’ho tradito. Anzi, ho voluto evitare che commettesse altri errori».

Lo conosceva da 26 anni, eravate amici di infanzia. Com’è nato il suo interesse per le neuroscienze?

«A 16 anni mi mostrò un libro di astrologia di Lisa Morpurgo, e da allora facevamo il tema di nascita (sorta di previsione astrologica, ndc) a chiunque. Poi sono arrivate le notti a discutere della teoria del Big Bang: era convinto che la natura fosse fatta di forze asimmetriche, una maggiore e una minore, come nella biemisferità del cervello, ma anche nella distinzione tra uomo e donna. A questa in particolare facevamo riferimento. Uno dei nostri miti era Rambo, perché rappresentava il massimo dell’ideale di forza».

La messa in pratica, però, sarebbe sfociata nell’eccesso della forza. La guarigione miracolosa da una malattia inguaribile come l’Alzheimer non le sembrava illogica?

«Io non so distinguere un caso di Parkinson da uno di Alzheimer, se mi mostrano due radiografie che provano la guarigione non ho motivo di non crederci. Poi lui era il dottore, lui era il laureato da 110, mi faceva vedere un cervello “bucato” e poi uno ricostruito e io ci credevo. Lui aveva coronato tutto, io non avevo coronato nulla».

Ma lei è fuori e lui in carcere.

«Non so cosa dire. So solo che non mi aspettavo una cosa così grande, non credevo che fosse tutto sbagliato. Credevo fosse normale aprire una onlus come l’Aion in 48 ore. Perché fu proprio così, anche se oggi lo negano».

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