La Nuova Sardegna

Sa Die: il racconto del 1793

Il giorno in cui Cagliari insorse e mise in scacco le truppe piemontesi

di Vindice Lecis
Il giorno in cui Cagliari insorse e mise in scacco le truppe piemontesi

L’Alternos, il nuovo libro pubblicato da Condaghes

28 aprile 2024
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Testo tratto da “L’Alternos - Romanzo della sarda rivoluzione”, di Vindice Lecis, pubblicato da Condaghes

Sparavano ovunque. Colpi secchi o scariche rapide e nervose. Sembrava una guerra. Ma era un’insurrezione. In tre ore l’apparato militare e poliziesco della Corona collassò. In tre ore di battaglia il popolo di Cagliari ebbe ragione di dragoni, granatieri, mercenari e artiglieri. Travolti e messi in fuga il battaglione Piemonte, quelli svizzeri e tedeschi di Courten e Schmid, le compagnie di dragoni del barone Saint Amour. Circa millecinquecento uomini scompaginati e arrestati. La svolta, si seppe in seguito, era arrivata dopo lo scontro sanguinoso con granatieri e dragoni schierati tra l’università e il collegio di San Giuseppe. I rivoltosi avevano poco prima liberato i forzati dalle carceri sotto il bastione di Sant’Andrea. Per gratitudine, questi galeotti spinsero dal baluardo alcuni cannoni per puntarli sui militari. Le milizie popolari, improvvisate e male armate, avevano capi e una strategia.

La truppa si trovò circondata da tre parti nella strada dritta che conduceva alla torre dell’Aquila e in quella di Santa Caterina. Ultima resistenza prima della disperata ritirata. Il combattimento scoppiò improvviso e infuriò rabbioso tra scariche di fucileria che provocarono vittime e feriti. Senza ordini precisi e travolti dalla paura, alcuni battaglioni abbandonarono le posizioni. Restarono solo i dragoni piemontesi nella strada di Santa Caterina. Le milizie urbane avanzarono con un cannone. Conquistarono una dopo l’altra le Porte dell’Aquila e dell’Elefante. Potevano ora dilagare in Castello. A loro si era aggregato Antonio Arras, fuggito dalla casa di Angioy alla ricerca di Sophie. Con i soldati in rotta c’erano molti civili, donne e uomini. Poi finalmente la vide. Era spinta da qualcuno all’interno del palazzo viceregio.

La piazzetta antistante era già occupata dai battaglioni pronti all’ultima resistenza. Le milizie sigillarono ogni via di fuga. Un colpo di cannone caricato a mitraglia verso la piazza non fece vittime. Ma convinse molti ufficiali e soldati ad arrendersi. Le loro armi furono requisite per l’attacco finale. La piazzetta si svuotò. A difendere il palazzo viceregio, dove si erano rifugiati Balbiano, Valsecchi, La Fléchère, Saint Amour e alti funzionari, era rimasta solo la guardia comandata da un ufficiale. Una delegazione sarda pretese la resa. Per tutta risposta l’ufficiale ordinò il fuoco. Una pioggia di proiettili si abbatté sulle milizie che arretrarono. Ci furono feriti. Ma poco dopo bersagliarono il palazzo con una tempesta di fuoco. L’ufficiale venne ucciso. Un cannone pronto a vomitare mitraglia venne puntato sul portone. A quel punto i piemontesi, sconfitti, alzarono bandiera bianca. Ad Antonio Arras, mescolato ai rivoltosi, parve di rivivere i momenti più esaltanti del 10 agosto a Versailles.

Uomini armati sciamarono nel palazzo, arrestarono quanti vennero trovati all’interno e che non erano sardi. I comandanti si misero a caccia del viceré per evitargli qualche umiliazione o il linciaggio. Ma Balbiano e il suo generale delle armi erano fuggiti nell’attiguo palazzo arcivescovile, utilizzando il passaggio interno. Il viceré non scampò all’arresto. Pur con modi rispettosi venne dichiarato prigioniero. La sua sicurezza fu presa in carico da un contingente numeroso di miliziani. Nel palazzo vennero trovati e arrestati da Delorenzo, amico di Angioy, il giudice Braida e il cavaliere Capizucchi di Cassine. Il popolo diventato padrone di Cagliari già chiedeva misure urgenti per alleviare la fame, punire i maggiori responsabili delle repressioni e cacciare tutti i piemontesi. La folla della piazza si aprì per far passare un corteo formato da pochi uomini. Erano coloro che avrebbero dovuto riempire il vuoto di potere, secondo la Costituzione del Regno: i magistrati sardi della Reale Udienza, perché quelli piemontesi erano già sotto custodia.

Tra loro Giovanni Maria Angioy, terreo, silenzioso e ieratico. L’anziano Litterio Cugia, i magistrati Pau, Floris e Tiragallo e qualche altro. Li seguiva, accolta da applausi, la prima voce dello Stamento militare il marchese di Laconi, don Ignazio Aymerich, anziano vanesio, che tutti già invocavano come nuovo viceré provvisorio. Arras era impegnato nel palazzo con decine di altri miliziani alla ricerca di funzionari piemontesi. Il parrucchiere Dais con una dozzina di uomini arrestò personalmente il segretario di Stato Valsecchi, l’alto ufficiale d’artiglieria Azimonti e il luogotenente Villanis che trascorsero la notte nel grottone di Porta Cagliari. Fu individuato e preso anche il barone di Saint Amour, particolarmente inviso alla popolazione. Arras chiedeva a tutti se avessero già arrestato un tal Barberis e visto una donna. Ma il gorgo della confusione e della tensione era difficile da governare. Arras entrava nei saloni e nelle stanze private, saliva e scendeva scalinate, frugava nei magazzini. Di Sophie non c’era traccia. Il controllo del palazzo fu assunto dall’agguerrita milizia di Stampace di Vincenzo Sulis. Il popolo in piazza, ubriaco della vittoria, voleva conoscere ogni cosa, dopo una vita di silenzi e angherie. Fu comunicato che il viceré e il generale delle armi erano sotto sorveglianza. E che erano stati arrestati il segretario di Stato, il fiscale, il reggente, i giudici piemontesi Braida e Capizucchi, il generale della piazza Lunel.

Mancava il segretario privato del viceré e anche Barberis. I soldati prigionieri del popolo erano già più di mille. Ora bisognava custodirli e nutrirli. Anche quei sardi troppo zelanti nella collaborazione furono messi in carcere. Tra questi, il censore generale Giuseppe Cossu, il tesoriere generale Gemiliano Deidda e il consigliere della città di Cagliari Tommaso Marras. Quella notte alcuni depositi di polvere da sparo e d’armi furono saccheggiati da ignoti. A Cagliari non c’era famiglia che non disponesse di un certo numero d’armi. La Reale Udienza, integrata da un rappresentante dello Stamento militare e davanti ai rappresentanti del popolo, si riunì in permanenza e cominciò a deliberare. Quella notte stessa iniziò la caccia ai piemontesi e alle loro famiglie rintanati nelle case. Gli arrestati vennero trasportati sotto scorta nei conventi della città e, i più pericolosi e compromessi, a San Pancrazio.

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