La Nuova Sardegna

Università: a Sassari boom di iscrizioni e Cagliari segue il trend

di Antonello Palmas
Università: a Sassari boom di iscrizioni e Cagliari segue il trend

L’ateneo turritano al quinto posto in Italia per nuove immatricolazioni: più 19,5% Cresce anche quello diretto dalla Del Zompo, con un confortante più 6,2 %

14 giugno 2017
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SASSARI. Cresce in maniera notevole (+4,3 per cento rispetto al 2016) il numero dei ragazzi italiani che decidono di proseguire gli studi all’Università, ma la notizia è che in questo trend che non si vedeva da 15 anni e che comprende per fortuna anche molti atenei del Sud, la Sardegna è molto ben sistemata: in particolare con Sassari, che grazie a un aumento super di iscritti del +19,5 per cento è quinta a livello nazionale tra le statali secondo i dati forniti dal Miur e pubblicati dall’Anagrafe nazionale studenti. In crescita, più contenuta, anche Cagliari: +6,2 per cento, comunque in netto aumento rispetto allo scorso anno quando fece registrare un +3 per cento, che rappresentava un dato importante rispetto a quello nazionale del +0,3 per cento.

A fare la parte del leone sono Perugia, che ha fatto il botto con un incredibile +42,3 per cento, e Foggia (+41,7). Sassari è dietro solo a Piemonte orientale (+26,3) e Camerino (+24), e davanti ad atenei prestigiosi come Parma (+16,9), Modena (+10,8), Roma La Sapienza (+9,5), Milano Bicocca (+7,9).

Col segno rosso realtà di grido come Urbino (-2,8), Catania (-0,8), Milano Politecnico (-0,2), Roma Tor Vergata (-2,9). Le più n crisi per numero di iscrizioni l’università del Sannio (Benevento) con -4,7 per cento, quella della Tuscia (Viterbo) con -4,3 e quella delle Marche con -4,2.

Crescere è importante e non certo (non solo) per una questione di prestigio. In ballo ci sono i finanziamenti pubblici che si basano proprio sui dati di crescita e le posizioni nei ranking. Decremento significa rischiare di diventare ancora più piccoli, perché con meno risorse si è costretti a ridimensionare il numero dei corsi, le offerte, le borse di studio, finendo in una spirale perversa che non può che trascinare ancora più giù realtà che pure hanno una storia e una tradizione consolidate.

L’inversione di rotta degli atenei italiani, tendenza cominciata già nel 2015-2016 seppure con numeri molto più contenuti, +1.9 per cento, potrebbe spiegarsi con una maggiore cura dei conti e con il ricorso sempre più massiccio all’orientamento nelle scuole superiori. Ma secondo la ministra dell’istruzione, Valeria Fedeli, che qualche giorno fa commentava il piazzamento di 4 atenei italiani fra i primi 200 al mondo, anche grazie «all'ultima legge di bilancio che ha incrementato il Fondo di finanziamento ordinario degli atenei, riportandolo a 7 miliardi; ha aumentato le risorse per il diritto allo studio e stanziato fondi per i migliori dipartimenti che potranno essere utilizzati per l'assunzione di docenti, ricercatrici e ricercatori».

Quello dell’incremento delle immatricolazioni è un segnale molto positivo per un Italia in cui la crisi aveva portato le famiglie a basso reddito a rinunciare a far proseguire gli studi ai figli, ma nella quale si segnalava anche una pericolosa tendenza delle famiglie senza problemi economici a considerare inutile ai fini della carriera lavorativa il conseguimento di una laurea. Italia che, occorre ricordarlo, “vanta” numeri pessimi per volume di laureati nei paesi dell’Unione europea: solo il 26 per cento dei cittadini tra i 30 e i 34 anni. Solo la Romania fa peggio di noi, con 25,6 per cento.

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