La Nuova Sardegna

Costituzione, il silenzio spaventa

Costituzione, il silenzio spaventa

Dopo il referendum fallito, i costituzionalisti dicono: «Di riforme non si parla più»

24 aprile 2017
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CAGLIARI. All'improvviso sulla Costituzione è calato un silenzio spaventoso. Fino al 4 dicembre sembrava che cambiarla fosse l'unico salvavita possibile, oppure la medicina peggiore, per risollevare un'Italia disastrata. Ma gli elettori, in Sardegna soprattutto, hanno risposto picche a Renzi. D'accordo, i no hanno stravinto, però perché dalla bocciatura in poi il dibattito - che fino al giorno prima era da guerra civile - è stato azzerato, zittito? È intorno a questa domanda che si sono confrontati quattro costituzionalisti di altrettante università: Alessandro Mangia della Sacro cuore di Milano, Andrea Morrone, Bologna, Pietro Ciarlo e Gianmario Demuro della facoltà di giurisprudenza cagliaritana. Tutti e quattro sono preoccupati, perché della Costituzione non si parla più da mesi. Se la bozza del governo è stata respinta, all'orizzonte non c'è traccia di altre possibili riforme. Da dicembre è mancata nei fatti la "gestione del dopo" sia da parte di chi voleva cambiare la Costituzione e non c'è riuscito, e allo stesso modo si sono comportati anche quelli che erano contrari al cambiamento. È stato commesso un doppio errore. «È accaduto lo stesso nel 2006- ha detto Mangia - all'indomani del referendum voluto da Berlusconi. Anche quella bozza, giusta o sbagliata che fosse, non ebbe fortuna e, come nel 2016, tutto scivolò subito nel dimenticatoio. Il risultato? Sono dovuti trascorrere dieci anni per riparlare di Costituzione e potrebbe finire così anche stavolta». Secondo Mangia una prima analisi su questo atteggiamento schizofrenico potrebbe essere questa: «Finora le riforme non sono state scritte da giuristi che pensano al bene comune, come i nostri padri costituzionali, ma da scienziati della politica spinti da interessi di parte. Per due volte le premesse sono state queste ed è scattato automatico il rigetto degli elettori». La controprova, ha aggiunto, è nelle diverse, troppe, leggi elettorali. «In 25 anni - ha sottolineato - le regole sono state cambiate quattro volte e una quinta nei prossimi mesi, ma di contro l'astensione degli elettori è aumentata. La colpa? Dei partiti che hanno perduto la loro identità». Proprio sui partiti s'è soffermato Morrone: «In questa stagione nascono come funghi e spesso muoiono in fretta. Esiste o hanno lasciato un vuoto, mentre la democrazia avrebbe bisogno di una loro presenza più incisiva». È un vuoto che è stato studiato all'indomani del sondaggio in cui la maggioranza degli italiani s'è divisa fra la necessità di avere un uomo forte al comando e l'ipotesi sudamericana, cioè quella di governi falsamente decisionisti che alla lunga finiscono per aumentare le diseguaglianze. Sono segnali preoccupanti, è stato detto, con Ciarlo che ha aggiunto: «La gente percepisce un'assenza generalizzata dello Stato e quindi d'instabilità. Il sistema politico è debole e non ha più la forza di coinvolgere gli italiani». Secondo Demuro la soluzione, in estrema sintesi, potrebbe essere questa: «Basta parlare contro la Costituzione ma per la Costituzione. Che però non può essere considerata intoccabile nella seconda parte. Dobbiamo sperare invece che si possa e si debba cambiare. Il confronto sulle riforme dev'essere riallacciato, mentre il silenzio tombale di questi mesi non serve ed è anche molto pericoloso».

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