La Nuova Sardegna

Cellula di Al Qaeda a Olbia, riprende il processo

Il processo alla presunta cellula di Al Qaeda nell'aula bunker di Bancali
Il processo alla presunta cellula di Al Qaeda nell'aula bunker di Bancali

La corte d'assise si è spostata per motivi di sicurezza in un’aula bunker del carcere di Bancali, a Sassari.  Tra le accuse ai presunti terroristi con base in Gallura quella di aver fatto giustiziare una coppia pakistana perché era al mare con il costume da bagno

26 febbraio 2016
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CAGLIARI. Condannati a morte per un costume da bagno: questa la colpa di una coppia di pakistani, giustiziata - nel 2011 nella provincia di Brescia - con la benedizione di Hafiz Muhammad Zulkifal, imam di Zingonia (Bergamo), accusato di essere uno degli esponenti di spicco di una cellula di Al Qaeda con base operativa a Olbia ma estremamente influente in Pakistan. L’imam è uno degli 11 presunti terroristi, arrestati lo scorso aprile, contro cui è ripreso oggi 26 febbraio a Sassari il processo celebrato davanti alla corte d’assise, che per motivi di sicurezza  si è spostata in un’aula bunker del carcere di Bancali.

Stando alle accuse della Dda di Cagliari, che ha coordinato il lavoro della Digos di Sassari, gli imputati sarebbero tutti componenti di una pericolosa e potente organizzazione responsabile della sanguinosa strage al mercato di Peshawar - in Pakistan nel 2009, con più di 100 vittime - oltre a una serie di attentati contro auto della polizia, scuole femminili e tralicci elettrici. 

Inoltre, sempre stando alle indagini, i presunti terroristi erano così profondamente legati all’ideologia fondamentalista da ordinare una serie di omicidi, in Italia e in patria, contro chi violava le leggi coraniche. Tra le vittime ci sarebbero anche marito e moglie pakistani - della zona di Gardone Val Trompia (Brescia) - puniti con la morte per essere andati al mare in costume da bagno. Ad approvare la condanna sarebbe stato proprio Zulkifal che per sè rivendicava un ruolo di guardiano morale della comunità, arrogandosi il diritto di infliggere pene esemplari e di ricorrere a ogni mezzo pur di imporre il rispetto della legge divina.

I diversi frammenti di conversazione in cui si fa riferimento al duplice omicidio, intercettati dagli inquirenti, sembrano trovare riscontro in un episodio del 2012 quando due stranieri, mai identificati, avevano chiesto a uno studio fotografico di Lodi di estrarre delle immagini da un cellulare. Una volta al lavoro, il titolare si era reso conto che le foto ritraevano una giovane pakistana con il volto tumefatto, le braccia amputate all’altezza dei gomiti e le gambe a quella delle ginocchia.

Gli arti erano stati posizionati vicino al corpo «secondo la tecnica utilizzata dai talebani» , come rilevano gli inquirenti. Durante l’udienza di questa mattina, è in programma la deposizione del dirigente della Digos di Sassari Mario Carta a cui il pm Danilo Tronci chiederà di ricostruire le tappe fondamentali dell’inchiesta.

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