La Nuova Sardegna

Gli ebrei dell’isola di Rodi, storia di una deportazione

di EUGENIA TOGNOTTI
Gli ebrei dell’isola di Rodi, storia di una deportazione

Con un convegno il Comune della Maddalena ricorda Girolamo e Bianca Sotgiu Nel luglio del 1944 salvarono una bambina ebrea dai campi di sterminio nazisti

24 gennaio 2016
5 MINUTI DI LETTURA





di EUGENIA TOGNOTTI

Niente è più necessario, in tempi difficili e confusi come i nostri, della costruzione di una memoria educativa. Hanno fatto bene, dunque, l’Ute e il sindaco della Maddalena, Luca Montella, a voler celebrare la Giornata della memoria attraverso le biografie di Girolamo e di Bianca Sotgiu, a cui la l’Ente nazionale per la Memoria della Shoah ha conferito il titolo di «Giusti tra le nazioni» per aver salvato una bambina ebrea. Una vita nella sinistra, ben conosciuti per il la loro attività politico-culturale e istituzionale, che comprende anche, nella Sardegna del dopoguerra, l’occupazione delle terre per Bianca, e l’impegno in Consiglio regionale e al Senato per Girolamo, insieme all’insegnamento universitario e alla ricerca storica, i due furono testimoni della deportazione di massa degli ebrei di Rodi nel luglio del 1944 e cercarono con ogni mezzo – e correndo un mortale pericolo – di salvare qualche vita.

Immane tragedia. Pur essendo solo un frammento dell’immane tragedia che sconvolse l’Europa, l’annientamento e lo sterminio della comunità ebraica di quell’isola conduce al cuore dell’Olocausto e all’abisso a cui portò la follia sanguinaria di Hitler e il lento, inesorabile declino della ragione umana. Centro mediterraneo di vita ebraica dal II sec. d.C., Rodi aveva acquisito, con l'afflusso di ebrei spagnoli, cacciati dal paese a causa dell’Inquisizione, il suo carattere distintivo, una vivacità culturale e mercantile che era stata, per 500 anni, un elemento chiave del suo tessuto sociale multiculturale. Col tempo, quest’antico patrimonio s’integrò con altre culture: il mosaico di lingue – ladino (giudeo-spagnolo), turco, ebraico, greco – offriva grandi possibilità di scambi e di mediazione culturale ed economica. L’occupazione da parte dell’Italia nel 1912, dopo la guerra italo-turca, non produsse traumi nella vita civile e culturale, nelle scuole, nel Collegio rabbinico. Ma l’equilibrio stabilito in più di due decenni di controllo del governo italiano, si ruppe nel 1938, con le famigerate leggi razziali.

Leggi razziali. Anche gli ebrei di Rodi vennero spogliati dei loro diritti civili e dei mezzi di sostentamento. Come accadeva in Italia, furono espulsi dalle scuole, privati dei posti di lavoro e dei loro beni. Tuttavia, nonostante le pressioni dei tedeschi, il governo italiano non mise in atto azioni violente verso la comunità ebraica e non ci furono deportazioni. Ragazzi e ragazze ebree cacciati dalle scuole potevano usufruire delle lezioni private impartite da tre professori delle scuole superiori, di tendenze antifasciste. Tra loro c’era Girolamo Sotgiu. Nato a La Maddalena nel 1915, era figlio dell’avvocato Antonio Sotgiu, sindaco socialista di Olbia (Terranova) nel primo Novecento e uno dei primi antifascisti in Italia a sperimentare, nell’ottobre del 1922, l’olio di ricino, somministratogli da una squadra di fascisti continentali e locali. All’età di due anni, Girolamo era stato portato a Roma e qui era vissuto fino al 1939. Inserito nei circoli politico-culturali della capitale, collaboratore di varie riviste letterarie e legato da vincoli di amicizia a Pietro Ingrao, Mario Alicata, Renato Guttuso, si era laureato nel 1938. Sul finire del 1939, mentre cominciavano a soffiare venti di guerra, aveva accettato un posto di professore nelle scuole del Dodecaneso. Dopo aver trascorso un periodo a Simi, poi a Lero, si era trasferito a Rodi, dove aveva conosciuto e sposato una giovane maestra calabrese, Bianca Repepi.

Dialogo tra culture. La casa dei Sotgiu, perfettamente integrati nella comunità, era un luogo d’incontro di insegnanti e studenti turchi, greci, ebrei a cui il giovane docente dedicava tempo ed entusiasmo. Ma per gli ebrei di Rodi si avvicinava la fine. Dopo la caduta del governo fascista e l'armistizio dell’8 settembre 1943, stipulato dall'Italia con gli Alleati, le forze naziste occuparono l’isola, bombardarono l’aeroporto e fecero strage di soldati. La comunità ebraica vive i mesi che seguono l’armistizio in completo isolamento, mentre i nazisti preparavano il loro piano criminale. Né le autorità civili, né la Chiesa prendono contatto con i capi della comunità, lasciata dall’Italia in balia delle SS. Il 18 luglio 1944, tutti i maschi ebrei sono convocati al quartier generale Air Force; il giorno dopo tocca alle donne, a cui viene dato ordine di portare con sé gioielli e oro. Brutalmente privati di tutto dalle SS, vengono rinchiusi in un campo di concentramento improvvisato.

Bianca e Girolamo, aiutati da qualche collega e dalla comunità di Rodi, mettono in campo disperati tentativi per salvare qualcuno, cercando testimonianze della loro cittadinanza turca. Nascondono una bambina di 9 anni, Lina Amato, unica figlia di una famiglia ebrea amica. In lacrime, il padre aveva chiesto loro di salvarla: incuranti del pericolo, avevano preparato i documenti per l’adozione, cambiandole nome.

Viaggio verso l’orrore. Frastornata dai bombardamenti notturni, Bianca si muove da una parte all’altra dell’isola, in bicicletta, cercando affannosamente documenti e assicurandosi l’aiuto del console turco che riesce a negoziare con i tedeschi la libertà di qualche decina di ebrei provvisti di passaporti turchi o sposati a cittadini turchi. Il 23 luglio, i 1767 prigionieri, scortati dai soldati con i mitra spianati, vengono accompagnati al porto. «Non c’è nulla di umano nel loro andare – scrive Bianca Sotgiu, nel libro “Da Rodi a Tavolara” nel quale ha evocato le immagini strazianti della deportazione – nulla che possa ricordare le persone che abbiamo conosciuto. Avevano fino a pochi giorni prima una casa, una vita più o meno agiata, alcuni ricchezze notevoli, tutti sogni e speranze». Il viaggio verso l’orrore di Auschwitz dura 26 giorni, raccontato da Ruggero Gabbai nel film «Il viaggio più lungo» . Soltanto 163 sopravvivono ai campi di concentramento. Ma non tornano più a Rodi. Riparano a Cape Town, in Sudafrica.

Fuga a Cape Town. Nel 2014, la comunità si è ritrovata nell’isola greca per ricordare l’anniversario della deportazione. Tra loro c’era anche Lina Amato che in un toccante discorso ha ricordato l’umanità delle persone che l’avevano salvata. Uno studente ha voluto parlare per dare voce a quelli che la ferocia nazista ha condannato a morte, compresi alcuni membri della sua famiglia, finiti nelle camere a gas. Le parole di un sopravvissuto, bambino al tempo dello sterminio degli ebrei di Rodi, dovrebbero far riflettere quanti si chiedono se la Giornata della memoria non rischi la saturazione, la ritualità, la ripetizione scontata degli stessi contenuti: «Eravamo bambini, non abbiamo mai fatto nulla per meritare il nostro assassinio, eravamo innocenti. Ciò che ci è stato fatto è mostruoso, e guidato dall’odio razziale e dalla malvagità . Il silenzio, la segretezza, l’ apatia e l’incredulità furono i nostri grandi nemici. Quando si smette di parlare di noi, quando si smette di pensare a noi, quando si smette di leggere di noi. noi svaniremo nel silenzio».

In Primo Piano
Sanità

Ospedali, Nuoro è al collasso e da Cagliari arriva lo stop ai pazienti

di Kety Sanna
Le nostre iniziative