La Nuova Sardegna

La città ferita si rialza

di Serena Lullia

Si contano i danni, mentre un esercito di volontari pulisce case e strade

03 ottobre 2015
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OLBIA. Pale, scope e stivali. L’esercito del fango ricompare sulle strade alle prime luci del mattino. I quartieri devastati dal ciclone si mettono in moto all’alba per cancellare le ferite del primo ottobre. Due le zone più colpite. Zona Baratta, nel cuore della città, e Isticcadeddu, quartiere periferico venuto su abusivamente e trasformato in piano di risanamento. I fiumi esondati più volte sono entrati in centinaia di case. 40 le persone che hanno dovuto abbandonare la loro abitazione e ora sono ospiti degli hotel. A meno di due anni dal passaggio di Cleopatra, Olbia è di nuovo in emergenza. In serata arrivano anche il ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti e il presidente della Regione Francesco Pigliaru. Promettono interventi immediati e risorse. Parole che vengono accolte dai cittadini con diffidenza. In questo momento a loro interessa salvare ricordi, cancellare il grigio fango dalle loro case, ritornare alla normalità.

Notte in bianco. L’alba illumina una città con gli occhi gonfi. Nei quartieri del disastro in pochi sono andati a dormire. Hanno aspettato nei piani superiori che i fiumi ritornassero nei canali. Hanno assistito all’onda di piena che si prendeva le loro case, senza poter fare nulla. Spesso senza vedere niente. Molti rioni sono rimasti al buio. Alle prime ore del giorno ritorna a casa chi aveva scelto di trascorrere la notte da amici e parenti. Indossano gli stivali di gomma e impugnano la pala.

Rassegnazione e dignità. Percorrere le vie di zona Baratta è un viaggio di dolore. Come operose formiche le persone portano in strada l’arredamento finito sott’acqua, accatastano mobili, quadri. Gesti ordinati, quasi meccanici, imparati due anni fa per la prima volta e fissati per sempre nella memoria. Al civico 21 di via Lazio la famiglia Bono-Fideli è al lavoro da ore. L’acqua è entrata in due appartamenti. «Nel 2013 avevamo avuto un metro e sessanta di acqua – dice Michele Bono –. Avevo ricomprato tutto l’arredamento, il letto, i mobili, avevo cambiato le porte. Vorrei ringraziare Gianni (Giovannelli il sindaco di Olbia ndr) per tutto questo». In via Dei Salici, Pier Mario Asara, precario dell’As Do Mar, agita le mani e la scopa. «Se trovo il responsabile di tutto questo lo rincorro con la scopa – afferma –. Nel 2013 siamo stati sfollati per sei mesi. Era entrato un metro e mezzo d’acqua. Questa volta mi è andata bene, solo mezzo metro. Ma la cucina è da buttare, come anche la camera del bambino, senza considerare i danni alle pareti. Così non è possibile vivere. Io sono un precario, ho un mutuo, i mobili comprati con le rate. Chi me li da i soldi per sistemare di nuovo tutto?». Antonello Pileri fuma nervosamente una sigaretta. La sua casa di via Amba Alagi è una piscina di fango. «Come due anni fa – dice guardando la catasta di mobili inzuppata all’ingresso –. Per sei mesi siamo stati ospiti da parenti. Poi piano piano, con grandi sacrifici, abbiamo ricomprato l’arredamento. La macchina di mia moglie Rita ha avuto 6mila euro di danni, la mia l’ho rottamata. A casa ho avuto danni per 16mila euro. Ora siamo in hotel. L’altra notte ci siamo messi al sicuro al primo piano. Non abbiamo più parole». Francesco Bonannini è il proprietario di una vetreria in via Tre Venezie. Il ciclone Cleopatra l’aveva sventrata. L’acqua e il fango avevano spazzato via macchinari, computer. «Questa volta eravamo preparati – commenta con il sorriso –. L’allarme rosso ci ha consentito di mettere in salvo i macchinari, i pc con i software e di limitare i danni. Siamo stati fortunati, solo 30 centimetri di acqua».

Barbara Maludrottu parla di miracolo. La sua casa si trova in via Cina, nel quartiere Bandinu, ferito da Cleopatra, graziato dal Mediterraneo. Insieme al marito e ai figli di due anni aveva abbandonato l’abitazione giovedì notte. «Nel 2013 c’era stato un metro e sessanta di acqua – ricorda –. Quando ieri siamo arrivati e abbiamo trovato la casa asciutta abbiamo gridato al miracolo». Nella stessa zona abita Benedetto Arru, direttore di banca. Due anni fa la sua casa e il laboratorio di ceramica della moglie erano finita in apnea sotto 180 centimetri di acqua e fango. «Nonostante le tre ondate di piena abbiamo avuto solo una quarantina di centimetri. C’è a chi è andata molto peggio. In due giorni sistemiamo tutto, così possiamo aiutare chi non è stato fortunato come noi».

Solidarietà. Sin dalle prime ore del mattino nelle strade del fango ritornano anche gli angeli della solidarietà. Non solo amici e parenti, ma anche tanti studenti. Come due anni fa i ragazzi portano il loro aiuto alle famiglie in difficoltà. In mattinata arrivano anche i soldati della Brigata Sassari.

Il futuro. Mentre Olbia prova a risorgere ancora una volta dal fango ci si interroga sulla sua fragilità. Se le alluvioni prima erano un evento raro, adesso diventano sempre di più un evento ricorrente. Ci si domanda quando e se mai la città sarà sicura. Esiste un piano anti-alluvione approvato dal Comune e finanziato dallo Stato per 16milioni di euro. Un piano di lungo periodo che si basa sulla realizzazione di grandi vasche di laminazione in cui contenere l’acqua in eccesso. Opera contestata dal Comitato “Fuori l’acqua da Olbia”. Il gruppo di cittadini sostiene che si deve impedire all’acqua di entrare in città. Ed è convinto che i canali scolmatori siano l’unica vera garanzia per evitare che Olbia finisca ancora una volta sotto l’acqua.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

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