La Nuova Sardegna

“Mezzo Toro”, Tiziana Troja rilegge Borges

di Enrico Pau
“Mezzo Toro”, Tiziana Troja rilegge Borges

La compagnia Lucido Sottile all’ExArt di Cagliari con uno straordinario Felice Montervino

09 settembre 2015
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CAGLIARI. Quella di Felice Montervino, nello spettacolo “Mezzo Toro” – diretto da Tiziana Troja e prodotto dalla compagnia Lucido Sottile – è una potentissima prova d’attore. All’ExArt il pubblico che ha affollato una delle sale dello spazio di Piazza Dettori ha avuto modo di vedere sulla scena uno degli attori più interessanti, forse il più intenso, di quella nuova generazione di artisti che si affaccia sulla scena isolana.

Montervino insieme con la sua regista, che ha anche adattato il testo originario, un racconto di Jose Luis Borges “La casa di Asterione”, hanno esplorato un territorio come quello del mito del Minotauro che già Borges ha imprigionato alla sua maniera in un labirinto fatto soprattutto di parole, un labirinto evocato da un’infinità di porte aperte, di cisterne piene di sabbia, un luogo metafisico da cui al lettore è impossibile fuggire, come, in fondo, è impossibile fuggire dal mito e dalla capacità del mito di lasciare un’impronta potente sul presente, sulla nostra cosiddetta realtà.

Asterione è un personaggio bellissimo, gode della vibrante fisicità di Montervino il cui corpo solido è costretto, quasi appollaiato, su due tacchi a spillo, alti oltre ogni misura, sorta di coturni che costringono l’attore a una posizione del corpo innaturale, costretto come è a compensare con i muscoli delle gambe un disequilibrio che rende la sua recitazione, il suo volteggiare come effetti di una acrobatica esplorazione dello spazio. Montervino è voce e corpo, le due cose hanno una tale forza e potenza che sembra quasi che siano fonti di un’energia che si sostiene da sola, che dà ai due elementi un continuo fremito. Dentro questo testo intanto si insinuano tutti i riflessi come suggerisce la regista di un cinema noir, ma sono bagliori lontani che si incastrano nella scrittura di Borges che come al solito, prima di tutto, usa lo spazio per dichiarare la solitudine dell’uomo davanti a Dio, davanti al mito.

E’ uno spettacolo maturo, frutto di una solida scrittura di scena, di una drammaturgia d’attore, di luci semplici, curate da Michela Musio, di musiche fuori tempo massimo come “Der Kommissar” di Falco, che risuona, con singolare forza ossimorica dentro le pareti metafisiche dello spazio borghesiano.

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