La Nuova Sardegna

L’APPELLO»UNA VIA D’SCITA DAL DECLINO

di Vannalisa Manca

SASSARI. Un appello che si leva dalla disperazione ma anche dalla rabbia di chi vuole reagire di fronte alla decadenza di un territorio prima sconquassato da scelte scellerate, poi abbandonato. Un...

09 agosto 2015
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SASSARI. Un appello che si leva dalla disperazione ma anche dalla rabbia di chi vuole reagire di fronte alla decadenza di un territorio prima sconquassato da scelte scellerate, poi abbandonato.

Un gruppo di imprenditori del Nord Ovest della Sardegna ha inviato al governatore Francesco Pigliaru un documento-denuncia sulla crisi del sistema imprenditoriale di questa parte dell’isola. Con la richiesta di un incontro in tempi brevi, perché qui «dopo agosto si fa il ballo della fame». Gli imprenditori ne hanno parlato con il consigliere regionale Gavino Manca al quale hanno sottolineato di essere «disposti a tutto, pur di salvare le nostre aziende e i nostri operai, anche a metterci a capo di una sollevazione popolare che veda lottare insieme imprenditori (quei pochi che ancora resistono) e dipendenti».

Disperazione e rabbia, soprattutto perché «la classe dirigente politica, locale e regionale - si legge nella nota al presidente della giunta regionale -, si sta dimostrando totalmente assente nell’esercitare quel ruolo di difesa e tutela del debole tessuto economico di quest’angolo di Sardegna». Il territorio si avvia verso uno stato di agonia, per il grave malessere che sta inghiottendo posti di lavoro (oltre 7000 disoccupati) anche quando gli accordi sottoscritti prevedevano se non benessere, di certo un barlume di rinascita. Così non è stato negli ultimi decenni, né negli ultimi periodi.

L’elenco delle “disfunzioni” è lungo e articolato. A cominciare dal sito industriale di Porto Torres e dal polo energetico di Fiume Santo dove le imprese sopravvivono strette dalla morsa di una crisi economica che sembra non aver fine, vessate dalla difficoltà di accesso al credito, dalle pastoie burocratiche e, non ultima, «vittime della concorrenza sleale, fatta da imprese che arrivano dalla penisola per portare via quel poco di lavoro che ancora la nostra industria produce». È la storia di sempre, si crea il circolo vizioso: qui ci sono le imprese e le maestranze ma gli appalti se li aggiudicano aziende che arrivano da altre regioni, «che sfruttano i loro lavoratori, non onorano gli impegni con i fornitori e, indirettamente, avviano al fallimento le intraprese locali».

Ma il capitolo degli impegni disattesi interessa anche la “Chimica verde”: il protocollo d’intesa siglato da tutte le istituzioni sarde e dal governo centrale prevedeva investimenti per 730 milioni di euro entro il 2016, insieme alla tutela di imprese e maestranze locali e la riqualificazione del personale, sia delle società dell’Eni e sia dell’indotto. Un accordo sostenuto dall’istituzione di un tavolo permanente che monitorasse gli effetti e gli obiettivi previsti dal protocollo sottoscritto. Niente, non si è fatto niente. O molto poco. Tutto sembra invece avvolto da nebbie che le istituzioni dovrebbero far diradare. La centrale a biomasse (230 milioni) non si fa più; non è ancora partita la fase 3 (300 milioni) e, intanto, terminati i primi impianti pilota oltre 400 operai sono stati rimandati a casa.

Gli imprenditori dicono basta e aspettano che siano le istituzioni a ribellarsi con loro per uscire da questo pantano, per salvare un territorio che da anni lotta per veder cancellato un inquinamento che ha deturpato l’ambiente e provoca gravi patologie. Si vuole reagire al decadimento dello stato sociale e si chiede di allentare quello stato di malessere che si insinua fino a togliere il respiro.

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