La Nuova Sardegna

LA TESTIMONIANZA»IN FUGA DALLA GUERRA

di Pinuccio Saba

PORTO TORRES. Sono arrivati alle tre del mattino, a bordo di un pullman proveniente da Cagliari. Quasi in silenzio, hanno preso possesso di quella che per i prossimi mesi, settimane o solo pochi...

03 agosto 2015
3 MINUTI DI LETTURA





PORTO TORRES. Sono arrivati alle tre del mattino, a bordo di un pullman proveniente da Cagliari. Quasi in silenzio, hanno preso possesso di quella che per i prossimi mesi, settimane o solo pochi giorni sarà la loro casa. Uno stabile a due piani “e mezzo” in uno dei quartieri periferici di Porto Torres. Il quartiere è quello di Serra Li Pozzi, quartiere residenziale, il primo che si incontra quando percorrendo la ex strada statale 131 si arriva a Porto Torres.

Quartiere che nelle scorse settimane ha accolto la notizia dell’arrivo dei profughi con un po’ di timore e un po’ di fastidio. Tanto che una delegazione di cittadini ha incontrato il sindaco per manifestare i loro timori in queste vicende i Comuni non hanno alcun potere decisionale perché tutto passa per le mani dei prefetti.

Le paure e il fastidio sono poi rientrati, tanto che ieri mattina quasi nessuno si è accorto dell’arrivo dei quasi cinquanta immigrati eritrei. Dalle poche auto che passavano davanti alla struttura di accoglienza, solo qualche sguardo distratto al massimo incuriosito. Giovani, giovanissimi i profughi arrivati a Porto Torres. Alcuni hanno meno di 18 anni, ma loro affermano di essere maggiorenni per non essere trasferiti in altri centri di accoglienza per minori.

Hanno viaggiato di notte, ma quelle ultime ore trascorse a bordo di un pullman, sono sembrate una gita turistica. Per molti di loro il viaggio, infatti, è iniziato un anno fa. Per altri “solo” due mesi. Sono fuggiti da una guerra mai dichiarata, dai nemici dell’Etiopia, da quella polveriera che è la Somalia. Sono tutti cristiani, quelli arrivati a Porto Torres. Molti loro con il crocefisso (anche stilizzato) al collo o con la croce riprodotta su un bracciale. No, raccontano, in Eritrea non c’erano problemi con i musulmani. Che sono pochissimi.

Seduti all’ombra della palazzina, parte integrante di un complesso residenziale-condominio di case unifamiliari, cercano di farsi capire con le poche parole di inglese o francese che conoscono. E raccontano dei mesi trascorsi nel deserto del Sudan, con il timore di veder arrivare i predoni–terroristi islamici. Mesi durissimi, con temperature mai sotto i quaranta gradi, poca acqua e poco cibo. Poi la Libia. Un’esperienza terribile: prima nel deserto, subito dopo aver lasciato il Sudan. Ammanettati o meglio, legati ai polsi con stringhe o corregge di cuoio, un solo pasto al giorno - alle cinque del pomeriggio - e l’acqua razionata. Una volta lasciato il deserto per i profughi si sono aperte le porte delle galere libiche, un altro girone infernale. In pochi hanno il coraggio e la voglia di raccontare i mesi trascorsi in Libia, qualcuno mostra le cicatrici provocate dai colpi di pistola degli aguzzini sparati per “educare” i prigionieri più recalcitranti. Infine l’attesa per l’imbarco, a poche centinaia di metri dal mare. Eritrei, somali, profughi dai paesi della fascia centrafricana, ma anche siriani, iracheni, pachistani, afghani. Del viaggio via mare non vogliono parlare. Punto.

Stanchi e spaesati, la prima cosa che hanno fatto è stata quella di infilarsi sotto una doccia. Poche le regole del centro di accoglienza, uguali sia nella struttura di Porto Torres, sia in quella della zona industriale di Predda Niedda a Sassari, sia nel centro residenziale Stella del Mediterraneo gestiti dalla quindicina di soci della cooperativa “Asd”.

Da uno degli emigranti più giovani arriva un’ultima, timida domanda: «Quanto costano le scarpe?».

In Primo Piano
Santissima Annunziata

Sennori, cade dallo scooter all’ingresso del paese: grave una sedicenne di Sorso

Video

Impotenza maschile e suv, ne discutono le donne: la risposta di Geppi Cucciari ai talk show dove soli uomini parlano di aborto

Le nostre iniziative