La Nuova Sardegna

L’inchiesta in cui pochi credevano

L’inchiesta in cui pochi credevano

Dagli esposti della Piredda a un elenco d’indagati che forse supererà i cento nomi

17 giugno 2015
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CAGLIARI. L’ex funzionaria dei gruppi politici Ornella Piredda, origine indiscussa dell’inchiesta più vasta e clamorosa che abbia mai coinvolto la politica sarda, non era una visionaria. A quasi sei anni dai due esposti che hanno dato l’avvio ai procedimenti per peculato aggravato, il conto giudiziario sembra fornire soltanto conferme: un anno e otto mesi per Adriano Salis, il solo ex consigliere che ha scelto il giudizio abbreviato, la stessa pena per Sisinnio Piras che invece ha patteggiato. Ora è arrivato il primo sigillo del tribunale, un giudizio ordinario che segna forse il punto di svolta della vicenda: sei anni a Silvestro Ladu, quattro e mezzo a Beniamino Scarpa. Condanne pesanti, che se ribadite nei gradi successivi implicano il carcere. Condanne in cui pochi credevano quando la Procura di Cagliari capeggiata da Mauro Mura, mostrando un livello di indipendenza incontestabile, decise di sollevare il coperchio su quella che a posteriori molti ex onorevoli ricorderanno come consuetudine consolidata e diffusa: spartirsi allegramente i milioni che la presidenza del Consiglio regionale distribuiva tra i gruppi politici per garantirne l’attività. Le denunce della Piredda riguardano la dodicesima legislatura, quella che va dal 2004 al 2009. Ma le carte raccolte dalle sezioni di polizia giudiziaria dei Carabinieri e della Guardia di Finanza, con un lavoro investigativo che non potrà mai essere dimenticato, hanno illuminato anche le legislature successive per confermare - così sostiene la Procura - che l’andazzo era tutt’altro che circoscritto e che è stata necessaria una legge approvata nella legislatura Cappellacci per mettervi fine una volta per tutte: basta coi fondi ai gruppi e basta con le assunzioni di raccomandati negli uffici dei gruppi. D’ora in poi niente soldi e solo personale «in comando» dalla stessa Regione o da altri enti pubblici, pagati dagli stessi consiglieri con le indennità portaborse.

Ma qual è la prospettiva di questa sequenza di procedimenti, il cui effetto potrebbe essere devastante per un’intera generazione politica? Prima della pausa giudiziaria estiva dovrebbero arrivare le decisioni in abbreviato per Carlo Sanjust e Onorio Petrini, enrambi Pdl, uno finito nei guai per il banchetto di nozze e l’altro per le ciotoline d’argento, pagati coi soldi pubblici. C’è poi la posizione di Mario Diana, l’ex capo del gruppo Pdl, quello delle penne Montblanc, il solo mandato al giudizio immediato: per lui la sentenza dovrebbe arrivare in autunno. Per gli altri quindici imputati del processo principale il verdetto è in programma, salvo intoppi, prima di Natale prossimo e sarà l’ultimo della prima sezione con la presidenza di Mauro Grandesso: la responsabilità del collegio giudicante è già passata nelle mani di Claudio Gatti.

Fin qui i giudizi definiti e fissati. Ma fra otto giorni, il 24 giugno, il gup deciderà se rinviare a giudizio con l’accusa di peculato aggravato la sottosegretaria ai beni culturali Francesca Barracciu, che ha giustificato i primi 33 mila euro di spese improprie con i consumi di carburante. A breve dovrebbe partire la richiesta di rinvio a giudizio per la quarantina di indagati del centrosinistra, legislatura Cappellacci, insieme alle posizioni più esposte del centrodestra, come quella di Giorgio Oppi. Per quanto resta del consiglio 2009-2014 ci sarà ancora da attendere, ma le indagini vanno avanti a ritmo serrato e stando alle voci sarebbero emerse situazioni ai confini dell’incredibile. Conti alla mano, dovrebbero essere rispettate le previsioni: giudizio per 110-115 onorevoli ed ex onorevoli. Un numero che fa riflettere. (m.l)

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