La Nuova Sardegna

Il veterinario: «Vi spiego come catturare la pantera»

di Nadia Cossu
Una pantera in un'immagine d'archivio
Una pantera in un'immagine d'archivio

Marco Muzzeddu: «Va presa, non c’è più tempo da perdere. Sono passati troppi mesi dai primi avvistamenti nel Goceano»

04 maggio 2015
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SASSARI. La pantera c’è. O meglio: un grosso felino nero – che potrebbe essere una pantera – gira da mesi (si parla addirittura di settembre) tra i monti del Goceano. Ormai questa non sembra più essere una notizia di fantasia, i numerosi avvistamenti tra Bultei e Nughedu San Nicolò sono stati considerati attendibili e lo dimostra anche il fatto che il prefetto di Sassari Salvatore Mulas qualche giorno fa ha convocato un vertice per organizzare una task force che consenta di trovare il felino in tempi rapidi.

Perché, inutile negarlo, la paura che la pantera possa fare del male all’uomo esiste e non si può più far finta di nulla. «L’animale di cui parliamo è sicuramente stato a lungo in cattività, magari tenuto in casa da qualcuno. Cosa significa questo? Che non teme l’uomo, non lo riconosce come un pericolo e di conseguenza non avrebbe alcuna remora ad attaccarlo se avesse fame. Per fortuna è un animale che caccia di notte e quindi il rischio in questo senso si riduce».

Marco Muzzeddu, veterinario, da ventuno anni si occupa di fauna selvatica per il centro di recupero di Bonassai. Non ha mai avuto a che fare con la caccia ai grossi felini nel territorio del Sassarese, ma di sicuro conosce molto bene l’argomento considerato che con i colleghi lavora quotidianamente sul campo e sa quindi che catturare una pantera richiede competenza e impegno giornaliero.

«Non siamo stati coinvolti dal prefetto nella creazione di questo gruppo di lavoro ma ho avuto comunque modo di vedere le lesioni sulle prede trovate morte negli ovili e posso dire che quel tipo di ferite, ad esempio le unghiate sui fianchi, sono senz’altro ascrivibili a un predatore cosiddetto di specie “aliena”. Ossia che non è presente nel nostro territorio e che è quindi arrivato da un altro Paese. Su questo non ci sono dubbi».

Muzzeddu ha grande esperienza nel campo della fauna selvatica, nella sua lunga carriera gli è anche capitato di sedare leoni, «ma erano animali in gabbia – puntualizza – il felino in natura va gestito diversamente». Ed è anche sulle modalità di cattura che Muzzeddu interviene: «Per esperienza posso dire che questi animali sono attratti da prede vive.

Esiste una trappola particolare, una sorta di doppia gabbia: nel primo scompartimento si mette un ovino vivo ad esempio, il secondo serve invece per far entrare il felino che deve appunto raggiungere la preda, a quel punto la gabbia si chiude e lui resta intrappolato». Ovviamente questi sistemi di cattura vanno saputi collocare nei punti giusti, l’operazione richiede tempo – «tutto va seguito quotidianamente», dice il veterinario – e richiede anche un’ottima conoscenza del territorio.

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Far passare ulteriore tempo non fa che aumentare la preoccupazione: «Sono passati troppi mesi dal primo avvistamento – aggiunge ancora Marco Muzzeddu – ed è tutto a vantaggio di questo animale che ormai dimostra di avere dimestichezza con la zona. Evidentemente ha trovato il suo habitat ideale, sa dove e come nutrirsi e riuscire a prenderlo sarà sempre più complicato. Gli è stata data la possibilità di conoscere tutta la zona. Oltretutto in primavera si sposta moltissimo per via dell’istinto a cercare un partner per l’accoppiamento».

Al pericolo per l’uomo si aggiunge anche il danno economico per le aziende. Negli ultimi tempi sono stati numerosi gli attacchi agli ovili, pecore uccise in grandi quantità e allevatori in alcuni casi ridotti sul lastrico. Ma sull’identità del predatore non tutti si trovano d’accordo.

Qualcuno sostiene che la pantera non attacca per puro gusto, ma per fame. E quindi perché ammazzare così tanti ovini e abbandonarli anziché cibarsene? «Non dobbiamo dimenticare – spiega a proposito il veterinario – che un animale in cattività non ha un istinto predatorio normale. Ci può stare che nell’euforia della caccia crei lesioni anche a più animali». E Muzzeddu spiega il motivo: «Se le pecore sono ammassate in un ambiente chiuso e, ipotizziamo, la prima catturata dal felino riesce a divincolarsi, può succedere che l’animale si scagli contro le altre e possa anche ucciderle».

Nei prossimi giorni, intanto, la task force dovrebbe entrare in azione con un adeguato piano di intervento per la cattura del felino.

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