La Nuova Sardegna

Cancellate le 4 Province regionali nascono le associazioni di Comuni

di Umberto Aime
Cancellate le 4 Province regionali nascono le associazioni di Comuni

Il voto del consiglio ci sarà solo in primavera, ma la giunta ha varato il disegno complessivo Servono 4 comuni e 10mila residenti per creare un’Unione. Cagliari sarà città metropolitana

30 dicembre 2014
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CAGLIARI. La risposta ufficiale a una delle prime domande forse quella meno importante è arrivata a ridosso di Capodanno: saranno sessanta gli articoli che entro marzo ridistribuiranno le competenze fra gli Enti locali. Ma la vera domanda è un’altra: quante saranno, in futuro, le Unioni dei Comuni e in quante Associazioni fra questi municipi aggregati sarà divisa una Sardegna finalmente spogliata dalle Province storiche e regionali? È un mistero. A svelarlo per ora non è neanche il disegno di legge approvato ieri dalla Giunta. Il testo della riforma Erriu (Cristiano Erriu, l’assessore agli Enti locali) ha ottenuto l’atteso via libera nell’ultima seduta del 2014 e dopo l’Epifania sarà trasmesso al Consiglio regionale, che lo studierà a fondo prima nell’aula della commissione Autonomia e poi dovrà trasformarlo in legge. Il voto finale potrebbe essere in primavera, ma qualcuno auspica già che dovrebbe slittare almeno di qualche mese per evitare «scelte frettolose ancora meno se saranno calate dall’alto». Sospetto rispedito in un battibaleno dallo stesso assessore nella sua prima dichiarazione a caldo: «I Comuni saranno di sicuro al centro del cambiamento».

La sintesi. È questa, come tra l’altro si sapeva da giorni, le vecchie Province pian piano saranno svuotate delle competenze e del personale. L’operazione di trasloco avverrà con il passaggio del pacchetto (106 funzioni, 2.500 dipendenti) all’Unione dei Comuni e anche alle Associazioni sul cui numero sarà poi disegnata la cartina delle nuove Aziende sanitarie.

Le Unioni. Saranno obbligatorie e non potranno esserci Comuni che potranno rifiutarsi di mettersi assieme. La riforma prevede due regole: il numero degli abitanti amministrati in tutto non dovrà essere inferiore ai 10mila e ogni Unione dovrà essere formate da almeno quattro municipi, questo per evitare un’esagerata frammentazione. Perché la base su cui i consiglieri regionali lavoreranno nei prossimi mesi sarà quella delle regioni storiche della Sardegna, cioè Nurra, Anglona, Campidano eccetera, che così come sono conosciute adesso sono comunque troppe. L’Unione – è la dichiarazione di Erriu – «nasce con l’idea di migliorare i servizi l’offerta dei servizi, ridurre i costi istituzionali e garantire lo sviluppo socio-economici di territori fra loro omogenei».

Le Associazioni. Saranno gli Enti di secondo livello, o meglio «assemblee fra i sindaci di diverse Unione dei Comuni», oppure secondo la più stretta burocrazia gli «ambiti territoriali strategici». La popolazione minima, è scritto, sarà di 180mila abitanti. Nasceranno per garantire «una maggiore semplificazione amministrativa, altri risparmi nei costi (gli incarichi saranno senza compenso) e una rete di servizi trasversali».

Città metropolitana. Sarà una sola, quella di Cagliari, con i sedici Comuni dell’hinterland aggregati in un Forum fra i sindaci fino a diventare il volano del rilancio economico della Sardegna.

Ex Province. Sparirà quella di Cagliari, alleggerita dai sedici Comuni della Città metropolitana, ma ingoblerà le ex Medio Campidano, Sulcis-Iglesiente, oltre i Comuni che non faranno parte della macro area cagliaritana. Le altre tre storiche navigheranno a vista fino a quando non sarà approvata la legge costituzionale che le cancellerà per sempre dallo Statuto della Regione. Quindi «temporaneamente» – ha detto l’assessore – resteranno in piedi Sassari (che ritornerà ad assorbire la Gallura), Nuoro (nel cui territorio sarà compresa di nuovo l’Ogliastra) e Oristano.

L’Osservatorio. Sarà la stanza di compensazione fra vecchio e nuovo. «Strumento essenziale – ha detto Erriu – per ottimizzare la riforma a livello regionale e renderla uniforme con quella nazionale». Soprattutto dovrà essere a recepire le istanze dei territori e permettere ai «Comuni di essere protagonisti del cambiamento». Con il compito di «coordinare la ricognizione (in parole più semplici, verificare le varie esigenze), riordinare le competenze delle ex Province e riassegnarle ai nuovi livelli istituzionali, cioè Unioni e Associazioni».

La base. In una riforma degli Enti locali non possono essere che i sindaci. E Infatti subito dopo il via libera alla riforma, Anci (associazione dei Comuni) e Cal (Consiglio delle autonomie locali) hanno diffuso la loro prima pagella sulla riforma. La sintesi è questa: per ora il loro giudizio è sospeso. O meglio diviso fra quello che va bene e quanto dovrà essere ridiscusso in tempi rapidi. Va bene, ad esempio, la scelta di sovrapporre le regioni storiche della Sardegna ai possibili confini delle future Unioni fra i Comuni. «Era la nostra proposta», hanno scritto Anci e Cal, «ed è stata accettata». Va benissimo, è scritto nello stesso comunicato, che «sia potenziato il ruolo dei Comuni e allo stesso tempo svuotare la Regione delle funzioni di gestione». Per poi sottolineare: È chiaro che «i confini dovranno essere decisi con i territori e non pensabile siano disegnati col pennarello sulla cartina della Sardegna». Per questo sono le stesse organizzazioni a dire: «Non dobbiamo avere fretta, soprattutto perché la legge nazionale che istituisce le Unione potrebbe essere presto rivista e corretta dal Governo». Cosa va male, invece? Prima di tutto, scrivono Anci e Cal, la rigidità delle regole per la costituzione delle aggregazioni. «Diecimila abitanti come minimo potrebbero essere troppi per una Sardegna che, nelle zone interne, continua a spopolarsi». Così il dissenso è netto anche sul numero minimo dei Comuni, quattro, necessari per costituire un’Unione: «Il Consiglio regionale – è la sintesi – dovrà tener conto della nostra realtà come tra l’altro hanno che faranno altre Regioni a Statuto speciale, Sicilia e Friuli in testa». L’ultima bocciatura è sulla rigidità nell’amministrare le funzioni delle ex Province: «Serviranno strutture snelle – dicono i sindaci – altrimenti finiremo tutti in un cortocircuito istituzionale».

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