La Nuova Sardegna

Storia di Gavino e la sua immagine di santo guerriero

di MARISA PORCU GAIAS
Storia di Gavino e la sua immagine di santo guerriero

Il culto antichissimo dei protomartiri Com’è cambiata l’iconografia nei secoli

08 novembre 2014
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di MARISA PORCU GAIAS

La diffusione del culto di San Gavino è attestata dalle numerose chiese a lui intitolate nel territorio dell'originario Capo di Sassari e Logudoro ma anche della Gallura, Barbagia, Ogliastra e perfino del Campidano, dove un villaggio, San Gavino Monreale, ebbe il suo nome. Lo stesso avvenne in Corsica: oltre alle diverse chiese, ben quattro villaggi, San Gavino di Carbini, San Gavino di Tende, San Gavino di Fiumorbo e San Gavino a Parata gli furono intitolati. Due sono le chiese presenti in Toscana: San Gavino Adimari e San Gavino al Cornocchio, entrambe nel Mugello presso Firenze, e una in Campania, a Camposano.

La più ampia testimonianza materiale della penetrazione del culto di Gavino ritratto da solo o assieme ai suoi compagni di martirio, il presbitero Proto e il diacono Gianuario, è data dalle innumerevoli rappresentazioni pittoriche e scultoree presenti anche in chiese che non gli sono intitolate. Troviamo in Toscana la più antica pervenutaci: proviene dalla chiesa di San Gavino al Cornocchio ed è attualmente esposta nel museo di S. Agata al Mugello. Si tratta di una pala d'altare, firmata dall'ignoto pittore Nicolaus e datata 1345, nella quale Gavino è ritratto alla destra di una Maestà in trono, in posizione privilegiata e simmetrica rispetto all'effigie di Miniato, patrono di Firenze.

La singolarità è data dal fatto che il nostro santo è raffigurato come un principe taumaturgo, in quanto ha in mano una piccola scatola, attributo che contraddistingue i santi medici. La chiesa di San Gavino al Cornocchio, posta sotto il patronato della famiglia degli Ubaldini, è documentata dal Duecento. Risale invece ai primi decenni del Mille la più antica menzione documentaria della vicina e più importante pieve di San Gavino, posta sotto il patronato della famiglia degli Adimari e assegnata, nel 1038, al monastero fiorentino di San Miniato al Monte. Entrambe le potenti famiglie degli Adimari e degli Ubaldini, imparentate fra loro, erano interessate al controllo dei traffici commerciali da Firenze a Pisa.

L'accostamento di Gavino e Miniato nella pala d'altare riporta quindi alle vicende dell'edificazione in forme protoromaniche della chiesa martiriale di San Miniato al Monte a Firenze, per volontà del vescovo Ildebrando, e, in parallelo e in anni di poco successivi, all'edificazione della basilica di Torres voluta dal giudice Comita, per assolvere al voto fatto al martire Gavino che lo aveva guarito dalla lebbra, secondo il racconto dell'Inventio ripreso dal Condaghe di San Gavino. La diffusione del culto del Santo di Torres in territorio fiorentino sarebbe dunque avvenuta in parallelo con la sua ripresa nel giudicato e con la prima fase edificatoria della basilica romanica, nella prima metà del Mille, ad opera di maestranze genericamente provenienti da Pisa, come recita il Condaghe. In Sardegna non sono pervenute raffigurazioni di Gavino anteriori al XV secolo e in nessuna il santo appare come taumaturgo. Troviamo invece tre diverse sue rappresentazioni: come genti. luomo di rango a cavallo o, più di rado, appiedato; come soldato romano appiedato; come cavaliere romano. L'immagine del soldato con bianche vesti che incede su un altissimo cavallo bianco e regge una lancia con un candido vessillo, offerta dall'Inventio, o del cavaliere che cavalca sopra l'acqua del mare e le zampe del cavallo non si bagnano, data dal Condaghe, stabilì un preciso riferimento per l'iconografia più comune del Santo, confermata anche dal poemetto quattrocentesco dell'arcivescovo Antonio Cano, nel quale il martire è detto cavaliere romano (non più quindi il semplice miles della Passio) e scudiero del governatore Barbaro. Nel Seicento questa rappresentazione si impone sulle altre dopo la seconda Invenzione dei Corpi Santi effettuata nel 1614 dall'arcivescovo Gavino Manca Cedrelles, quando si consolidò il sodalizio fra la mitria turritana e la municipalità sassarese, rappresentate dai due fratelli Gavino e Francesco Manca Cedrelles, e la famiglia romana dei principi Savelli, potente in Vaticano con i suoi cardinali. I Savelli, come in passato gli Adimari e gli Ubaldini, adottarono Gavino, il cavalleri antighissimu romanu attribuito alla loro illustre famiglia già nel poemetto dell'Araolla, Sa vida, su martiriu et morte dessos gloriosos martires Gavinu, Brothu et Gianuari, pubblicato nel 1582.

Anche l'iconografia dei tre martiri ritratti insieme ha delle varianti: essi sono raffigurati appiedati, o nella gloria del cielo assisi su una nuvola, oppure con Gavino nelle più consuete vesti di cavaliere. Fu Giovanni Arca, nel suo De Sanctis Sardiniae del 1598, a dare una descrizione di quest'ultimo modello iconografico: «San Gavino irrompeva fra i due suoi compagni e da ciò derivò la consuetudine di dipingerlo sempre come un cavaliere armato fra Proto e Gianuario». All'indomani della proclamazione, nel 1625 da parte dell'arcivescovo Passamar, di S. Proto quale vescovo di Torres nel 290 d.C., questi iniziò ad essere raffigurato con gli attributi del vescovo, mitria e pastorale, suscitando le ire della diocesi cagliaritana che in tal modo vedeva contestato il suo primato fra le diocesi sarde. Nonostante la proibizione intervenuta nel 1637 da parte della Congregazione dei cardinali per sedare la contesa, questa iconografia continuò ad essere adottata nel Capo di Sassari e Logudoro e tuttora persiste.

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