La Nuova Sardegna

Giallo in corsia, chirurghi accusati di «soppressione di cadavere»

di Nadia Cossu
Giallo in corsia, chirurghi accusati di «soppressione di cadavere»

Sassari, dal pm nuova imputazione a due medici chiamati a rispondere davanti al gup della morte di un uomo : «Sparito il pericardio di un paziente»

22 luglio 2014
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SASSARI. Il colpo di scena arriva durante l’udienza preliminare davanti al gup di Sassari Giuseppe Grotteria. In aula, imputati di omicidio colposo e falso ideologico e materiale (in seguito alla morte del paziente di Tresnuraghes Tullio Coratza) ci sono il direttore del reparto di Chirurgia delle grandi obesità, Alberto Porcu, e il chirurgo Luca Pilo. Il pubblico ministero Elisa Loris prende la parola e contesta un nuovo clamoroso reato a carico dei due medici delle cliniche universitarie: soppressione di cadavere. Reato previsto dall’articolo 411 del codice penale e che punisce «chiunque distrugga, sopprima o sottragga un cadavere o una parte di esso». In aula è gelo improvviso, gli avvocati Toto Porcu, Pasqualino Federici e Pietro Diaz (che assistono gli imputati) si consultano e chiedono i termini a difesa. L’udienza viene rinviata al 30 ottobre.

Le novità giudiziarie. Cosa ha spinto il pubblico ministero ad aggiungere nel fascicolo questa nuova ipotesi di reato? Risposta: la sparizione del pericardio, ossia la membrana che circonda il cuore. Scrive il consulente del pm nella sua relazione tecnica: «Rispetto a quanto riportato nella scheda chirurgica, si rileva che non si parla della rimozione del pericardio, palesatosi assente all’esame autoptico, né se ne riesce a individuare una plausibile giustificazione». Ma necessariamente occorre fare un passo indietro per capire cosa è successo quel 17 maggio del 2012.

La morte del paziente. Tullio Coratza (tresnuraghese originario di Suni) a maggio del 2012 va alle Cliniche San Pietro per una biopsia necessaria per la diagnosi di un tumore al mediastino. I precedenti due tentativi (una biopsia transtracheale e una transbronchiale) non avevano chiarito l’entità del male e così il chirurgo Alberto Porcu aveva deciso di intervenire con i ferri sostenendo che fosse urgente avere un quadro della situazione più chiaro. Non una “semplice” biopsia, dunque, ma una toracotomia. Durante l’operazione accade però qualcosa: l’arteria polmonare viene recisa e in pochi minuti il pensionato muore per «arresto cardiaco in shock emorragico». Fuori dalla sala operatoria i familiari di Coratza aspettano di conoscere dal chirurgo maggiori dettagli sulla diagnosi e su come eventualmente curare il tumore. Invece ricevono una notizia ben più tragica: «Suo padre è morto» dirà il direttore del reparto al figlio della vittima.

Al sessantenne di Tresnuraghes era stata diagnosticata a dicembre del 2011 una neoplasia nello spazio della cavità toracica che si trova nella parte mediana, tra i due polmoni. Il medico aveva deciso di intervenire chirurgicamente in toracotomia e così – stando a quanto scritto dal chirurgo Porcu nella sua successiva relazione – si era scoperto che il tessuto tumorale era attaccato all’aorta e all’arteria polmonare. Per poterlo prelevare, il ferro del chirurgo era passato in uno spazio di appena un centimetro. Sarebbe cioè andato a toccare la parete dell’arteria, a detta del medico già danneggiata dal tumore e perciò molto fragile, causando la rottura di un ramo. Il cuore del sessantenne non aveva retto.

L’inchiesta della Procura. Ma quell’evento era stato talmente improvviso e inaspettato che lo stesso pomeriggio i familiari della vittima si erano rivolti all’avvocato Giuseppe Longheu e si erano precipitati nell’ufficio del pubblico ministero Elisa Loris che a sua volta aveva immediatamente incaricato i carabinieri di sequestrare le cartelle cliniche. Il sostituto procuratore aveva affidato al medico legale di Torino, Rita Celli, l’incarico per l’autopsia. E proprio la consulenza della Celli ha sollevato dubbi sulla condotta dei medici e convinto il pm a chiederne il rinvio a giudizio inizialmente solo per omicidio colposo perché «quella toracotomia esplorativa è da considerarsi – scrive la Celli – un intervento a elevato rischio con un rapporto rischio/beneficio per il paziente fortemente sbilanciato». In sostanza i due chirurghi avrebbero dovuto eseguire indagini alternative come ad esempio una Tac spirale, «più cauta e di prima scelta».

Il nuovo reato. Successivamente il pm ha contestato la soppressione di cadavere. «Non si parla nella scheda chirurgica – scrive la Celli – della rimozione del pericardio, né se ne riesce a individuare una plausibile giustificazione; la lesione chirurgica dell’arteria polmonare è situata non in corrispondenza della neoplasia né in corrispondenza di tessuto malacico». E su questo punto la Procura vuole vederci chiaro. Nella relazione il chirurgo sosterrebbe di aver proceduto «all’apertura del pericardio per effettuare il massaggio cardiaco», nulla dice però relativamente alla rimozione. Replica la Celli: «Certo la manovra del massaggio cardiaco diretto non giustifica l’apertura del pericardio, né, tantomeno, la sua eliminazione». Da qui la decisione del sostituto procuratore Elisa Loris di indagare gli imputati anche per la soppressione di cadavere. Il 30 ottobre la parola passerà ai legali della difesa.

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