La Nuova Sardegna

Bigella, l’assassino di un delitto che non c’è

di Daniela Scano
Bigella, l’assassino di un delitto che non c’è

La sentenza della corte d’assise di Sassari è in contrasto con quella del Gip di Cagliari che ha condannato il reo confesso

25 giugno 2014
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SASSARI. C’è un sedicente assassino reo confesso che sta scontando, e che continuerà a scontare indefinitamente, la sua pena per un delitto che secondo una corte d’assise non è mai stato commesso. C’è un assassino ma non c’è il crimine. O meglio, il crimine è stato commesso secondo il giudice che ha condannato l’imputato e invece «non sussiste», non esiste, secondo altri giudici togati e popolari che hanno processato i presunti complici del sedicente omicida.

Due sentenze raccontano verità antitetiche sulla drammatica fine di Marco Erittu, trovato morto nella cella numero 3 del carcere di San Sebastiano la sera del 18 novembre 2007. E fino a quando non ci sarà una terza sentenza, che sceglierà una o l’altra ipotesi, Giuseppe Bigella continuerà a scontare la sua pena inflittagli con una sentenza passata in giudicato.

Bisogna partire da questo apparente paradosso per comprendere la complessità della vicenda giudiziaria che alle 21.25 di lunedì, dopo dieci ore di camera di consiglio, la corte d’assise di Sassari ha chiuso in primo grado con le assoluzioni piene di Pino Vandi, che il pentito Giuseppe Bigella accusava di essere il mandante del delitto; di Mario Sanna, il poliziotto penitenziario che secondo Bigella avrebbe aperto la porta della cella per consentire l’esecuzione della sentenza capitale; di Nicolino Pinna, che sempre Bigella aveva accusato di averlo accompagnato a uccidere.

Quel delitto, con motivazioni che saranno depositate entro novanta giorni, secondo i giudici della corte d’assise non è mai stato commesso. Il giorno dopo il verdetto sono in tanti a chiedersi cosa accadrà ora a Giuseppe Bigella. L’uomo che con le sue dichiarazioni ai magistrati della Dda di Cagliari aveva mandato in carcere due persone (Pino Vandi e Mario Sanna) e ne aveva fatto incriminare altre tre (Nicolino Pinna, accusato di omicidio ma mai arrestato e due agenti accusati di favoreggiamento) continuerà a scontare la sua pena. Perché ogni processo fa storia a sè, anche quando come in questo caso racconta la stessa storia con un finale diverso e inconciliabile.

La sentenza che ha condannato Bigella è passata in giudicato. Il portotorrese (condannato a trent’anni per l’omicidio della gioielliera Fernanda Zirulia) non ha presentato ricorso contro il verdetto emesso dal gip di Cagliari al termine del rito abbreviato. Quindi non è più imputato, ma condannato in via definitiva. Questa sua condizione non potrà cambiare senza una revisione del processo che però, anche se lo volesse, non potrà essere chiesta da Giuseppe Bigella. Non subito.

Ogni processo fa vita a sè ed è fatto di tappe. Quello che si è concluso lunedì a Sassari, con l’assoluzione di tutti gli imputati, è solo il primo grado di un procedimento quasi certamente destinato a proseguire in corte d’assise d’appello. Il pubblico ministero Giovanni Porcheddu, che aveva chiesto la condanna all’ergastolo dei presunti complici di Giuseppe Bigella, non lo ha ancora annunciato ma quasi certamente presenterà appello contro il verdetto di primo grado. Gli avvocati difensori si preparano ad affilare le armi e, se ci sarà, questa seconda sentenza potrebbe confermare o riformare il verdetto emesso dai giudici della corte d’assise. In altre parole, gli imputati potrebbero essere assolti per la seconda volta ma potrebbero anche essere condannati. In questo caso ci sarà certamente un processo davanti alla Corte di Cassazione ed è solo in questo momento, e solo se i giudici della Suprema Corte confermeranno la sentenza di assoluzione, che la storia giudiziaria di Giuseppe Bigella potrà incrociare di nuovo quella delle persone che ha mandato in carcere con l’accusa di omicidio.

Perché in questo caso ci sarebbero due sentenze, entrambe passate in giudicato, che cristallizzano due verità antitetiche: una la colpevolezza, l’altra l’innocenza di Giuseppe Bigella. E in questo caso dovrebbe essere lui, sempre che lo vorrà, a chiedere la revisione del processo per ottenere l’assoluzione.

Fino ad allora il portotorrese, per il tribunale di sorveglianza e per l’amministrazione penitenziaria, resterà l’uomo che ha assassinato in carcere un compagno di detenzione che secondo i giudici della corte d’assise si è procurato la morte. Perché, anche senza aspettare le motivazioni della sentenza, solo questo può voler dire un verdetto di assoluzione «perché il fatto non sussiste». Marco Erittu è morto, e questa è l’unica drammatica certezza. Il detenuto sassarese che diceva di sapere le oscure verità sui misteri del sequestro omicidio di Paoletto Ruiu e del giovane di Ossi Giuseppe Sechi, morendo ha lasciato ai giudici un caso altrettanto intricato da risolvere. Ora il mistero è lui.

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