La Nuova Sardegna

Operai e “prenditori”: la lotta del Sulcis

di Sabrina Zedda
Operai e “prenditori”: la lotta del Sulcis

Presentato a Cagliari “Lost citizens”, un toccante docufilm di Carla e Sebastiana Etzo. Le vite di uomini senza futuro

19 giugno 2014
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CAGLIARI. Quando si parla di lotte operaie il rischio a volte è quello di ripetersi o, peggio, di cadere nell’ovvietà. E comunque c’è da chiedersi: oggi scioperi e manifestazioni di protesta possono essere letti come quelli dei nostri padri o nonni? Le risposte a questo, e molto altro, sembrano contenute in “Lost citizens”, il toccante docufilm della giornalista Carla Etzo e di sua sorella Sebastiana, africanista, che dopo l’esordio col botto qualche settimana fa a Carbonia, è stato presentato martedì nella Cineteca sarda.

Un evento così atteso da aver riempito la sala, costringendo qualcuno a stare in piedi. Protagonisti del documentario, realizzato con le riprese e il montaggio del cineoperatore Vincenzo Rodi e le musiche di Marco Messina dei 99 Posse -che le ha regalate perché colpito dalla vicenda-, sono i lavoratori del Sulcis-Iglesiente, provincia tra le più povere d’Italia ed emblema dei cambiamenti del mercato del lavoro. L’approccio usato non è il solito: le sorelle Etzo entrano in punta di piedi nelle vite degli operai di Carbosulcis, Euroallumina o Alcoa per esaminare l’esperienza di disperazione e mancanza di lavoro nelle testimonianze dei padri e dei loro figli. Ci sono Antonello e Alessandro Pirotto, e ci sono anche l’ex minatore Silvestro Mocci con il figlio Gian Marco, Carlo e Michela Martinelli, il fidanzato di lei Enea Concu, sino a Enzo e Tiziana Pisu.

Il punto di partenza è la lacerante constatazione di Antonello Pirotto, ex cassintegrato dell’Euroallumina: «Ormai si è perso il senso della normalità». Si è perso perché se da sempre l’avvicendarsi di padri e figli, generazione dopo generazione, ha significato evoluzione e miglioramento delle condizioni di vita, stavolta il filo s’è spezzato, togliendo ai giovani persino la possibilità di immaginarselo il loro futuro. Il patto generazionale è venuto a mancare, è l’implacabile analisi di Antonello Pirotto, che nel 2012 l’ha urlato all’allora ministro Castelli durante la trasmissione “Servizio pubblico” di Michele Santoro. Tra scene della protesta, con gli operai Euroallumina arrampicati nell’alto delle ciminiere davanti a uno striscione che recita “Disposti a tutto”, o quelli della Carbosulcis, chiusi 400 metri sotto terra in attesta che la proprietà o la politica battano un colpo, si dipanano le storie. Come quelle dei nonni, che quando scioperavano per i padroni erano guai. O quelle dei loro nipoti che, senza un lavoro, vivono alla giornata, oggi ripulendo un orto, domani aggiustando un rubinetto e tra un mese chissà. Cittadini perduti, vittime di quelli che la sociologa Lilli Pruna chiama non imprenditori ma “prenditori”: investitori senza scrupolo che dal territorio hanno preso tutto lasciandolo poi svuotato.

Le immagini delle miniere abbandonate o delle industrie ferme, sino a quelle dei politici che fuggono in elicottero per non affrontare la rabbia dei lavoratori, sono un pugno allo stomaco per lo spettatore, che guarda impietrito questo nulla fare a pugni con il giallo brillante delle ginestre, il blu profondo del mare, l’azzurro del cielo.

C’è spazio per una realtà diversa da questo pessimismo? Sì, suggerisce il film nel finale, dove un bambino corre verso un futuro luminoso. Realizzato grazie a una campagna di crowdfunding-tramite una raccolta popolare su internet-, e con i suoni ancora di Marco Messina con Marco Della Monica, “Lost citizens” girerà la Sardegna ma, grazie alla versione in inglese, è anche pronto per farsi conoscere fuori.

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