La Nuova Sardegna

Festival “Leggendo Metropolitano: “Il giardino dei dissidenti”, dove sognare un altro mondo

di Daniela Paba
Festival “Leggendo Metropolitano: “Il giardino dei dissidenti”, dove sognare un altro mondo

Lo scrittore newyorkese Jonathan Lethem ha presentato il suo nuovo romanzo

09 giugno 2014
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CAGLIARI. Un catalogo del disincanto del XX secolo in forma di romanzo, Jonathan Lethem definisce così “Il giardino dei dissidenti”, pubblicato in Italia da Bompiani. Il libro ripercorre infatti la storia del Partito Comunista americano dal 1955 al 2012, dal discorso di Kruscev al movimento di Occupy Wall Street contro un ordine mondiale che ha originato una crisi che ha conseguenze drammatiche sulla vita di milioni di persone. Un libro diverso dagli altri ha spiegato il critico Michele de Mieri, introducendo l'incontro con lo scrittore newyorkese, autore postmoderno, consacrato al successo dalla Fortezza del silenzio, organizzato al Bastione di Saint Remy da Leggendo Metropolitano.

Sessant'anni di storia americana, vissuti attraverso due figure femminili passionali, Rose “la Rossa” e sua figlia Miriam, dichiaratamente ispirate alla nonna e alla mamma di Lethem. Ambientato nel Queens, quartiere nero di New York, con un andirivieni temporale, il libro di Lethem, abituato a frequentare generi popolari come la fantascienza, il noir e il fumetto, si confronta direttamente col Philip Roth di Ho sposato un comunista, Il complotto contro l'America e Pastorale americana, perché racconta il posto che occupa la politica nella vita delle persone. «In questo libro mi confronto direttamente con Henry Miller e Saul Bellow, figure enormi di scrittori ebrei americani – ha spiegato Lethem – Per anni ho immaginato di scavare un tunnel sotto la loro letteratura per avvicinarli. Ci sono voluti 25 anni durante i quali mi sono tenuto ai margini, tra fumetti, film, fantascienza e rock and roll, finché mi sono reso conto che potevo guardarli in faccia».

Una consapevolezza maturata naturalmente, se è vero che i germi di questo romanzo sono già presenti nella “Fortezza della solitudine”. «Ho imparato a usare le storie biografiche della mia famiglia: in quel romanzo isolavo le figure di un padre e un figlio, un affresco degli anni Cinquanta nel quale ho saturato tutta la cultura di un'epoca raccontando cosa significava per un bambino bianco crescere in un quartiere nero. Ma tutto quello che non avevo detto, tutto ciò che avevo lasciato fuori urlava dentro di me per essere scritto. Mia nonna, che ha ispirato Rose, era una figura terrificante, potente nella sua rabbia, nel suo scontento e io davanti a lei ero sempre pronto a scappare. Mia madre era un'intellettuale, il registro alto del libro lo devo a lei, portatrice della cultura germanica da Beethoven a Thomas Mann». “Il giardino dei dissidenti” si apre con una battuta fulminante che cita l'incipit del “Teatro di sabbath” di Roth: «Se non la smetti di scoparti i poliziotti neri sei fuori dal partito». Il processo nel partito introduce la figura di Rose che conosce tutti i libri di Marx ma tiene in casa un altarino dedicato ad Abraham Lincoln, ripudia l'ebraismo ma va ai funerali ebraici di sconosciuti, si fidanza solo con repubblicani, con una volontà dialettica che annoda la storia dei diritti civili americani. Miriam ripudia la madre per aderire alla controcultura psichedelica degli anni Settanta; sposa un musicista irlandese cattolico, interprete di ballate popolari che sta per sfondare quando sullo sfondo appare Bob Dylan. «Sembra che il Partito comunista americano sia una storia solo newyorkese con personaggi anche un po' ingenui», suggerisce De Mieri: «Dal punto di vista americano l'Unione Sovietica era negli anni Venti un'utopia in cui mettere tutto quello che si desiderava, simile al sogno americano. Dentro questa utopia c'è tutta l'idea di un Mondo Nuovo. Questo libro è un macro catalogo di tutte le delusioni del XX secolo, scritto per chiunque avesse dei sogni, sentisse l'amore e la seduzione del rischio. E il fatto che si prolunghi fino al 2012 è perché sempre c'è la speranza che quella ricerca e quegli ideali passino alle nuove generazioni».

Nel romanzo Miriam e Tommy muoiono in Nicaragua, il figlio cresce in una scuola di quaccheri ma poi incontra una manifestazione di Occupy Wall Street. Nella biografia di Lethem c'è la partecipazione diretta al movimento di protesta: «Occupy è un mistero. Ha fatto centro in un vuoto pneumatico. Le manifestazioni non sono per me solo un ricordo, il mio corpo ne conserva la memoria. Quando la sinistra prende un nome è come una fame amorfa: io volevo dare un nome a questo desiderio». Ma Obama e il sindaco di N.Y. fanno parte di questa storia? «Risponderò da marxista. Da un punto di vista dialettico l'America, la terra della possibilità, ha eletto nel 2008 un figlio degli schiavi. In realtà Obama ha intrapreso una politica neo liberale. Lo fa meglio di Bush, ma il suo ruolo di visionario è rimasto a livello larvale. Trovo però sbagliato delegare a persone come Obama o De Blasio l'istanza del cambiamento. Ormai il mondo è gestito dal capitalismo sovranazionale e non tener conto di questo significa non considerare il contesto nel quale una persona è costretto ad agire».

Tra le invenzioni del romanzo, Lenny attraversa New York come una pallina impazzita, cercando di mettere su una squadra di baseball comunista: «Lenny rappresenta l'anarchia, il personaggio che mi aiuta a tenere gli occhi aperti e stare attento a quello che faccio».

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