La Nuova Sardegna

Il papà del 17enne si sfoga «Lasciati soli per anni»

di Luigi Soriga
Il papà del 17enne si sfoga «Lasciati soli per anni»

Il minorenne è sotto choc, per i familiari sarebbe dovuto andare in una comunità «Nessuno ci ha mai voluto ascoltare: è sempre stato una bomba a orologeria»

30 aprile 2014
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SASSARI. Tutta la sua vita è come un elettrocardiogramma impazzito, fatto di picchi e abissi. Dieci ore prima era al volante di un’auto, con l’acceleratore a tavoletta e con la polizia alle calcagna. Adesso è sprofondato in una calma piatta: sdraiato su un lettino, scarpe da tennis ai piedi, pantaloni militari, piercing, abbracciato alla sua ragazza, occhi chiusi nella fissità del dormiveglia. «E’ così da stamattina – dice il papà – non una reazione, sembra sedato ma non lo è. Forse è sotto choc». Ma non si preoccupa più di tanto, perché Pietro (nome di fantasia) ogni tanto implode, spegne la sua esuberanza e diventa un’isola di introversione.

Ha appena 17 anni, ma è una bomba ad orologeria che nessuno ha mai provato a disinnescare. I genitori perché non ne hanno la forza, la scuola perché non ha gli strumenti e le istituzioni perché spesso sottovalutano la carica esplosiva. «Ora mi hanno chiamato gli assistenti sociali – dice il padre – adesso che il danno è fatto. Quante volte ho chiesto che lo portassero in una comunità, e nessuno mi ha mai ascoltato. Io sapevo che prima o poi l’avrebbe combinata grossa, è un ragazzo difficile. Gli puoi stare dietro giorno e notte, ma non lo avrai mai sotto controllo. Non è come gli altri adolescenti, non accetta regole, non riesce a stare fermo, un momento è gentile e rispettoso, un attimo dopo ti aggredisce con una violenza inaudita. E’ autolesionista, quando sta male si procura dolore per calmarsi. Io conosco bene il suo malessere, perché in fondo io sono uguale a lui. So cosa gli passa per la testa in certi momenti, e so che fermare quella furia che preme nelle tempie è impossibile. Roba che sbavi dalla rabbia, schizzi, vai fuori giri». L’educatrice la chiama ADHD, ovvero un deficit di attenzione o iperattività, cioè una sorta di disturbo evolutivo dell’autocontrollo. Una brutta bestia per un genitore, per un insegnante, e per chi ci deve convivere. Pietro con questo demone ci è nato, lo ha accompagnato per mano sin dai primi anni. Alle elementari era già seguito dal servizio di neuropsichiatria infantile, aveva delle insegnanti di sostegno, era già un alunno difficile. Di quelli incapaci di stare al proprio posto, di rimanere in silenzio, di accettare qualunque imposizione. Ma allo stesso tempo vivace e intelligente, con slanci di maturità inaspettati. Oppure irritabile, con scatti d’ira, pronto a spazzare ogni ostacolo, a prendere a spintoni compagni o insegnanti. «Quando l’anno scorso ho accettato di seguirlo un’ora a settimana a domicilio – confida l’educatrice – le mie colleghe mi hanno detto: ma sei sicura? Hai idea di quanto sia complicato? E invece è andata benissimo, mi ha subito accettata, abbiamo stabilito empatia e lui si è aperto». Però un’ora a settimana è una goccia, mentre Pietro è un fiume in piena. E quando in una manciata di metri quadrati tutti parlano di lui, di quel che ha combinato e di ciò che lo aspetta, e le parole si fanno dense, Pietro rimane sigillato nel suo guscio, distante galassie, come in un luogo altrove, e tutto gli cola sopra senza scalfirlo. Eppure quelle frasi potrebbero toccare nervi scoperti, perché lui conosce perfettamente il suo male, gli dà del tu, non ha paura di guardarlo in faccia. Racconta l’educatrice: «Una volta mi ha confidato: io non voglio stare sempre così, non mi piacciono le mie reazioni, cosa posso fare nella vita se resto così?». Ha molti amici, piace alle ragazze, ha i muscoli, sa fare a pugni, ha l’aria da duro, mimetizza bene le sue fragilità. Ma sa anche guardarsi dentro. Perciò se la soluzione è andare in una comunità protetta, o in un luogo dove gli specialisti lo possano aiutare veramente con un sostegno psicologico o una terapia farmacologica, Pietro non si tirerà indietro. «Ieri notte – racconta il padre – dopo che era successa la tragedia, io volevo accollarmi tutte le colpe, accusarmi di incauta custodia dell’auto, volevo salvarlo. Ma lui mi ha gelato: la responsabilità è solo mia, mi ha detto, sono io che ho sbagliato e devo pagare, non ti azzardare a metterti in mezzo. E se non mi dai retta io prendo quelle forbici e mi riempio di buchi, e tu sai che lo faccio». Il padre ha guardato le braccia piene di tagli, gli occhi di fuoco, e per un attimo è stato come rivedersi allo specchio. Ha provato inquietudine, e si è fatto da parte.

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