La Nuova Sardegna

L’inchiesta partita da una funzionaria pignola

L’inchiesta partita da una funzionaria pignola

Snobbate le richieste di Ornella Piredda sui rendiconti di spesa dei consiglieri Poi l’intuizione di Mario Marchetti sul peculato e la fermezza del pm Marco Cocco

07 novembre 2013
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CAGLIARI. All’inizio non ci credeva nessuno: una funzionaria dei gruppi consiliari, Ornella Piredda, che denuncia alla Procura i magheggi finanziari degli onorevoli sardi. Prima di passare in piazza Repubblica, la donna che ha aperto una strada giudiziaria diventata nazionale, ha fatto il giro delle redazioni. Mostrava documenti, atti, ricostruzioni precise fino al dettaglio di spese che apparivano oscure. Raccontava di un presidente del gruppo misto, Giuseppe Atzeri, che l’aveva emarginata e privata delle mansioni, le aveva tagliato lo stipendio, solo perché lei chiedeva che i consiglieri le consegnassero i giustificativi delle spese. Nessuno le dava retta, finchè un giorno ha bussato alla porta della Nuova Sardegna e quelli che erano apparsi ai più come i delirii di una signora amareggiata divennero la colonna portante di un’inchiesta che solo agli sprovveduti appariva velleitaria. Era il 2009. L’idea di impostarla sull’ipotesi di peculato fu di Mario Marchetti, procuratore aggiunto oggi in pensione, un giurista dalla preparazione e dall’intuito straordinario. Ma ad aprire i primi fascicoli con i racconti della Piredda il procuratore capo Mauro Mura chiamò Marco Cocco, ex magistrato militare arrivato in Procura ordinaria, fermezza glaciale in un involucro gentile. Dalle denunce ai riscontri il passo fu breve: subito l’acquisizione dei documenti, la reazione iniziale del palazzo di via Roma fu di indignazione. Il presidente Giacomo Spissu piombò all’ufficio del procuratore Mura per chiarire che sulle spese degli onorevoli la Regione aveva autonomia assoluta. Con un parere stravagante l’ufficio legale del consiglio arrivò a sostenere che il solo giudice dei parlamentari sardi poteva essere l’elettorato. Così, tra scetticismi e richiami alla calma, l’inchiesta andò avanti trovando riscontri precisi alle denunce della Piredda. Fra l’altro saltò fuori una sentenza della Corte di Cassazione, che smontò sul nascere il richiamo all’autonomia finanziaria degli onorevoli sardi: qualsiasi spesa compiuta col denaro pubblico - stabilisce quel pronunciamento - dev’essere rendicontata in modo puntuale e coevo, vale a dire con precisione e subito. Un principio - spiegano i giudici supremi - che vale anche per gli agenti dei servizi segreti. Con l’avanzare delle indagini crebbe stranamente anche la sfiducia nella Procura: pochi erano convinti che i magistrati, con il lavoro fondamentale di carabinieri e guardia di finanza, sarebbero arrivati a indagare i gruppi politici di una legislatura. Si fermeranno, annunciava qualche tribuno. Ipotizzando persino una sorta di timore nei confronti del potere politico. I fatti hanno parlato da soli: prima venti indagati in due fasi, quelli del gruppo misto e del gruppo Insieme per la Sardegna nella legislatura Soru. Poi l’inchiesta-bis sugli altri gruppi e l’inchiesta-ter sulla legislatura in corso. Nel frattempo l’impianto accusatorio intuito da Marchetti e sviluppato da Cocco aveva «contagiato» mezza Italia. Sono partite le inchieste nel Lazio (Fiorito-er Batman), in Lombardia, in Veneto, Sicilia, ora Emilia Romagna e ancora altre regioni. La denuncia di Ornella Piredda non era il delirio di una donna amareggiata, perché con quella si è scatenato un terremoto giudiziario che ormai coinvolge la politica territoriale italiana in modo quasi generale.

I processi sono tutti in corso e non c’è ancora il giudizio di un tribunale a mettere il sigillo su una sequenza di inchieste che potrebbe cambiare il corso della politica sarda. In tribunale sarà una battaglia, gli indagati hanno chiamato in propria difesa penalisti come Carlo Federico Grosso, l’ex guardasigilli Paola Severino, il parlamentare berlusconiano Luigi Longo, che già agli albori dell’inchiesta hanno fatto capire quale sarà l’aria ai dibattimenti. In ballo non c’è soltanto una vicenda giudiziaria e le sue conseguenze penali. La maggior parte degli indagati attuali e di quelli che arriveranno prossimamente si giocano la carriera politica, comprese le candidature per le prossime elezioni regionali. La legge Severino sulla decadenza degli eletti condannati è uno spauracchio temibile, perché colpisce già alla sentenza di primo grado. Su quel rischio ora traballa la candidatura di Francesca Barracciu a governatore per il centrosinistra e con lei tremano altri esponenti del Pd che ambivano a prenderne il posto. Nel centrodestra l’aria è ancora più pesante, perché è noto a tutti che la Procura non terrà conto del calendario elettorale. Ora si parla di toto-salvezza: si gioca a individuare gli onorevoli che riusciranno a evitare l’accusa di peculato per le spese del proprio gruppo. Basterebbe portare un normale rendiconto, come si fa nelle aziende. Ma forse non è così facile. (m.l)

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