La Nuova Sardegna

Limba, tra i banchi di scuola è già realtà

di Silvia Sanna
Limba, tra i banchi di scuola è già realtà

Ma i sardisti, attraverso la modifica dello Statuto, vogliono rendere lo studio obbligatorio. L’esempio di Trentino e Friuli

24 agosto 2013
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SASSARI. La differenza, netta, è tra obbligo e possibilità. Con la proposta di legge sul bilinguismo, il Psd’Az punta a modificare l’articolo 1 dello Statuto speciale per sancire in forma ufficiale il diritto di conoscere e utilizzare anche il sardo: limba madre da imparare a scuola, esattamente come l’italiano. In realtà a scuola il sardo sta per arrivare. Succederà a metà settembre, quando inizierà l’anno scolastico e il 30 per cento degli studenti avrà la possibilità di studiare sa limba nella variante parlata nel territorio d’appartenenza: sassarese a Sassari, gallurese a Tempio, logudorese a Ozieri ecc ecc. Si tratta degli studenti (dai più piccoli a quelli delle Superiori) che all’atto della preiscrizione hanno scelto di inserire nell’ambito dell’offerta formativa anche l’insegnamento del sardo. Ma la proposta Psd’Az va oltre: punta ad aggiungere, attraverso la modifica dello Statuto, un elemento, giudicato fondamentale, alla legislazione già esistente sulla lingua sarda: la legge regionale 26/1997 “Promozione e valorizzazione della lingua e della cultura della Sardegna”, la legge nazionale 482/1999 “Norme in materia di tutela delle minoranza linguistiche storiche” e la recente sentenza della Corte Costituzionale (numero 215 del 3 luglio 2013) che ribadisce il contenuto dell’articolo 6 della Costituzione sulla tutela, con apposite norme, delle minoranze linguistiche. Il Psd’Az, spiega il presidente Giacomo Sanna, «rivolge un appello a tutte le forze politiche, in particolare ai parlamentari sardi perché, a prescindere dallo schieramento, si attivino per arrivare alla modifica costituzionale dello Statuto». È all’esame del Senato, dalla fine di maggio, la bozza della ratifica della Carta europea delle lingue regionali, deliberata a Strasburgo il 5 novembre 1992, che prevede misure aggiuntive per la tutela della lingua sarda e del catalano, diffuso nella zona di Alghero.

L’esempio oltre mare. Tra le regioni a Statuto speciale, la tutela massima per le minoranze linguistiche è garantita in Trentino Alto Adige (tedesco) e Valle d’Aosta (francese). In entrambi i casi, si tratta di una tutela conquistata attraverso la modifica dei rispettivi statuti. In Trentino è previsto l’insegnamento obbligatorio di italiano e tedesco nella provincia di Bolzano, e negli atti pubblici la lingua tedesca viene utilizzata al pari di quella italiana. Identica situazione in Valle d’Aosta, dove solo i provvedimenti dell’autorità giudiziaria devono essere obbligatoriamente redatti in italiano. In Friuli Venezia Giulia esistono disposizione legislative riguardanti le tre lingue minoritarie: il friulano (diffuso nelle province di Gorizia, Pordenone e Udine), lo sloveno e il tedesco. È recentissima la predisposizione del Piano generale di politica linguistica da parte dell’Arlef, l’Agenzia regionale per la lingua friulana. Tra i primi passi compiuti, una convenzione con la Rai per la trasmissione del radiogiornale in friulano. E pur non essendo ancora stato modificato lo Statuto, già il 70 per cento degli studenti (scuola dell’infanzia primaria e secondaria di primo grado) studia il friulano. In consiglio regionale è possibile esprimersi in friulano: la presenza di traduttori garantisce la comprensione anche a chi parla in italiano. Stessa cosa per quanto riguarda la presentazione di istanze alle Regione: chi scrive in friulano ha diritto ad ottenere risposta nella stessa lingua. Identiche garanzie anche per la minoranza slovena, presente prevalentemente in provincia di Trieste: tutti i documenti, anche quelli delle Asl, possono essere rilasciati sia in italiano sia in sloveno. La convivenza si vede anche nelle strade: un unico cartello con la dicitura nelle diverse lingue. Cartelli bilingue anche in Veneto, soprattutto nelle zone montane dove prevale il ladino. E anche in Sicilia, dove in provincia di Palermo vive una minoranza albanese. Sul piano pratico, nessun problema. Le polemiche, soprattutto in Friuli, sono legate ai costi necessari per garantire una parità di trattamento alle diverse lingue (traduzioni, cartellonistica) e in generale sul business dei finanziamenti che vi ruota intorno.

Quale limba per l’isola? È questo l’ostacolo principale che anni di studi e discussioni non sono riusciti a superare. Quale sardo insegnare a scuola, se un domani dovesse diventare obbligatorio? Dice Giacomo Sanna: «Fosse per me proporrei il logudorese, la variante più arcaica e più simile al latino. Ma c’è anche il campidanese, diffuso in un’area geografica più vasta. È difficile trovare una conciliazione, sinora non ci sono riusciti squadroni di autorevoli professionisti». Ci hanno provato prima con la Lsu, Lingua sarda unificata, nel 2001: una sintesi poco efficace, perché artificiosa, delle diverse varianti prendendo come base il logudorese. Bocciata. Nuova limba nel 2006: la lingua sarda comuna, istituita con una delibera della giunta regionale. Sintesi più apprezzata ma ancora lontana dal sogno: quello di una limba naturale, comprensibile a tutti, dal Nord al Sud dell’isola. Un sogno probabilmente impossibile.

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