La Nuova Sardegna

In trentamila a Gavoi: l’amore per i libri fa vivere un paese

di Fabio Canessa
In trentamila a Gavoi: l’amore per i libri fa vivere un paese

Tantissimi ospiti e invasione di lettori al festival

09 luglio 2013
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GAVOI. Un paese di duemilaottocento persone, oltre trentamila presenze nel lungo fine settimana dedicato al festival. I numeri danno subito il senso di cosa sia la manifestazione letteraria organizzata dall’associazione l’Isola delle Storie. Ma i numeri non dicono tutto di questo piccolo, grande miracolo che si rinnova comune barbaricino da ormai il 2004, da dieci anni.

Sembra funzionare tutto a Gavoi. Magicamente. Merito di un paese che anche dal punto di vista urbanistico diventa ogni anno più gradevole (con tante case ristrutturate) dell’accoglienza degli abitanti, della perfetta organizzazione. Te ne rendi subito conto non appena arrivi a Gavoi. Ospitalità, professionalità che difficilmente si vedono da altre parti di questo livello. I membri dell’associazione, i tanti volontari (con moltissimi giovani), un ufficio stampa che mette davvero nelle migliori condizioni possibili chi va a Gavoi per provare a raccontare un po’ il festival. Una piccola parte perché come dice Marcello Fois, presidente dell’Isola delle Storie, «bisogna venire a Gavoi per capire cosa è il festival». Una full immersion nei libri, nella cultura, con un programma così ampio da accontentare tanti tipi di pubblico. Un numero altissimo di ospiti. Tutti sempre felici dell’esperienza di Gavoi, di essere stati invitati. Scrittori di grande livello internazionale, come il cileno Antonio Skármeta, superospite di questa edizione, autori che arrivano e svolgono anche altre professioni come il chimico Marco Malvaldi o l’avvocato Simonetta Agnello Hornby, diversi giornalisti (anche troppi) capaci di scalare le classifiche con i loro libri come Massimo Gramellini.

«Il successo - sottolinea Marcello Fois - dipende dal filo che collega tutto quello che succede. Quando ci sediamo per organizzare, facciamo un programma escludendo a priori cose come l'appeal televisivo. Se ci mettessimo a fare i divi i nostri spettatori non lo apprezzerebbero. Questo non significa voler escludere l'autore da cassetta, se vogliamo chiamarlo così. Perché i lettori sono tanti e noi dobbiamo essere abbastanza intelligenti da rappresentarli tutti. Il lettore di Skármeta e quello di Gramellini. Penso che dopo dieci anni abbiamo acquistato non autorità, ma autorevolezza. Una condizione per cui la gente sa che viene a Gavoi e noi non la prendiamo in giro. Gli offriamo una cosa che vale la pena di seguire. E agli autori offriamo un pubblico attivo. Il nostro problema ormai è dire no agli autori. Sanno che c’è moltissima gente e si vendono tantissimi libri».

E lo si nota subito dalle file lunghissime che si formano alla fine di ogni incontro, nelle passate edizioni come in questa che si è appena conclusa: «Un'edizione - evidenzia Fois - molto dedicata alla lettura e al lettore. Si è letto moltissimo durante questo festival, oltre alle classiche letture come preludio agli incontri. Skármeta ha letto i suoi pezzi. Gifuni ha letto Gadda, in maniera divina. C'è stata un'insistenza sul leggere, spesso a voce alta».

Se il risultato è sempre ottimo, le difficoltà per raggiungerlo sono tante. Salutando il pubblico prima dell’ultimo incontro del festival - quello con Simonetta Agnello Hornby - Marcello Fois ha ricordato con orgoglio come il festival di Gavoi siano stato inserito a livello d’importanza ai primi posti delle manifestazioni letterario dal governo, ma tra gli ultimi a livello di contributi. «Vorrei - dice Fois - avere solo le finanze per fare quello che facciamo in maniera serena, senza impazzire tutto l'anno. Non è certo sano finanziare le cose a prescindere. Chi gestisce dei soldi pubblici ha il dovere di fare delle scelte. Se so di non avere quei soldi faccio un'altra cosa, o comunque un altro tipo di ricerca. Invece ti di dicono che te li danno e poi... Devo ringraziare gli sponsor privati, quelli che ci credono, ma quelli pubblici o mi dicono di sì o di no. Si devono prendere la responsabilità pubblica di scegliere cosa vogliono finanziare. Chiedo insomma la certezza».

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