La Nuova Sardegna

Alina, nuovi indizi 25 anni dopo il delitto

di Gianni Bazzoni
Alina, nuovi indizi 25 anni dopo il delitto

In ballo tutti gli ex inquisitI: il pm chiede al gip la riesumazione del cadavere E la revoca del non luogo a procedere nei confronti dell’unico che finì in cella

06 luglio 2013
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SASSARI. Non si ferma la caccia all’assassino di Alina Cossu, la studentessa di Porto Torres uccisa a 20 anni e abbandonata nella scogliera di Abbacurrente nella notte tra il 9 e il 10 settembre del 1988. A distanza di quasi 25 anni da un delitto che si porta dietro ancora troppi misteri, la procura della Repubblica di Sassari gioca una nuova carta. Il pubblico ministero che segue l’inchiesta, Gianni Caria, nei giorni scorsi ha avviato l’iter per la riesumazione del cadavere della ragazza. Un accertamento che per essere richiesto - quale atto non ripetibile - deve prevedere la riapertura motivata delle indagini a carico di vecchi e nuovi sospettati.

Il magistrato ha già inoltrato il fascicolo al giudice delle indagini preliminari, insieme alla richiesta di revoca della sentenza di non luogo a procedere nei confronti di Gian Luca Moalli, l’operaio di Porto Torres di 48 anni che venne arrestato il 25 febbraio del 1992 e scarcerato su decisione del Tribunale del riesame il 20 marzo dello stesso anno «per insussistenza degli indizi a carico dell’indagato». E poi definitivamente assolto dal gip con sentenza di non luogo a procedere «per non avere commesso il fatto».

Tutti indagati. Si apre una fase in cui tutte le persone già coinvolte a vario titolo - e le cui posizioni erano state archiviate - tornano a essere iscritte nel registro degli indagati. Insieme a Gian Luca Moalli, quindi, ci saranno anche i nomi di altri quattro portotorresi: Fermo Banfi, Francesco Ruggiu, Pietro Grezza e Antonio Canu, iscritti nel 2008 e - a conclusione degli accertamenti - usciti dall’inchiesta su richiesta dello stesso pubblico ministero perchè nel corso delle indagini non erano state trovate prove che confermassero gli indizi che avevano spinto la magistratura a riaprire il caso con una inchiesta-bis.

Nuovi elementi. Nell’ultimo periodo sarebbe arrivato sul tavolo del magistrato che conduce l’inchiesta, un elemento nuovo. Una indicazione precisa che avrebbe convinto il pubblico ministero, dopo le relative valutazioni con gli investigatori che da anni lavorano sul caso, a ripartire dalla ricerca di tracce biologiche sul cadavere di Alina Cossu per poi procedere con una serie di comparazioni mirate.

Il percorso. Per gli altri indagati, il percorso è abbastanza semplice. Per Moalli, invece, il pubblico ministero ha fatto ricorso a un articolo specifico del Codice di procedura penale, il 434 (Revoca della sentenza di non luogo a procedere). Stabilisce che se sopravvengono o si scoprono nuove fonti di prova che, da sole o unitamente a quelle già acquisite, possono determinare il rinvio a giudizio, il giudice delle indagini preliminari - su richiesta del pm - dispone la revoca della sentenza.

La decisione. Il pronunciamento del gip dovrebbe arrivare nelle prossime settimane, e sarà determinante per il rilancio di una inchiesta che - seppure tra mille difficoltà e troppi silenzi - non ha mai interrotto la sua marcia verso la ricerca della verità.

Ricerca del Dna. La riesumazione del cadavere di Alina Cossu ha come finalità principale la ricerca di elementi utili alle indagini. La speranza è quella di isolare uno o più Dna, ma anche di provare a ricercare altri particolari che - come è facile immaginare - sono sfuggiti ai controlli di 25 anni fa, quando non si disponeva sicuramente delle tecnologie in uso oggi agli esperti della Scientifica.

L’esempio di Claps. In questi casi, i pareri sono discordi. C’è chi ritiene impresa quasi impossibile riuscire a scoprire elementi utili a distanza di così tanti anni, e chi invece sostiene che anche dopo tanto tempo qualcosa si trova sempre. L’esempio di Elisa Claps, la ragazza uccisa e il cui corpo era stato scoperto dopo tanti anni , viene citato come riferimento esplicito. In quella occasione, infatti, gli investigatori sono riusciti a isolare il Dna di Daniele Restivo sulla maglietta della studentessa.

L’assassino. Chi ha ucciso Alina Cossu in quella notte di settembre di quasi 25 anni fa, non ha agito da solo. Almeno nella seconda fase, quando il corpo della giovane studentessa è stato trasportato nella scogliera di Abbacurrente e gettato in mare, ha potuto contare sull’aiuto di almeno un complice. Cosa lega - o legava - i due? E perchè quel sodalizio non si è mai rotto?

Chi sa. C’è anche qualcuno altro che sa. Una donna si era premurata di chiamare a casa della famiglia - poco dopo l’omicidio di Alina - per dire che sapeva il nome dell’assassino. In quella occasione riferì dell’intenzione di essere pronta a riferire tutto alle forze dell’ordine. In realtà l’anonima telefonista, considerata una preziosa testimone, è svanita nel nulla. Se allora non ha dato seguito all’impegno per paura, oggi potrebbe prendere atto che la situazione è cambiata. E anche in forma anonima potrebbe fornire le informazioni di cui è a conoscenza.

Errori che pesano. Inchiesta nata male. Indagini superficiali, verifiche rinviate e poi diventate nulle, accertamenti che avrebbero potuto fornire conferme o smentite a certe ipotesi accusatorie. Sequestri di reperti non effettuati. La vicenda dell’omicidio di Alina Cossu, purtroppo, è contrassegnata da troppi errori. Oggi le indagini su un omicidio non si farebbero più così, e anche il luogo del delitto non potrebbe mai essere calpestato e inquinato come avvenne allora nella scogliera di Abbacurrente. Il gip Antonio Luigi Demuro, nel dispositivo della sentenza - che in quel caso riguardava l’assoluzione di Gian Luca Moalli - parlò senza mezzi termini di «costruzione accusatoria fatiscente».

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