La Nuova Sardegna

La prima vittoria di Mario contro la Sla

di Pier Luigi Piredda
La prima vittoria di Mario contro la Sla

Nulvi, un barista colpito dalla malattia ha ottenuto dal tribunale di poter essere curato con le cellule staminali a Brescia alla Stamina Foundation

04 luglio 2013
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INVIATO A NULVI. Mario si muove a fatica, ma in casa non usa la sedia a rotelle. Con il braccio destro abbraccia la moglie Tatiana, che lo sorregge con amore, mentre il braccio sinistro è infilato in una stampella. E sorride. Felice perché ha vinto la prima battaglia da malato di Sla: il Tribunale di Sassari ha accolto il ricorso presentato dai suoi legali (gli avvocati Giuseppe Manca e Denise Dedè) ordinando all’Azienda ospedaliera “Spedali civili” di Brescia di provvedere alla somministrazione della terapia con le cellule staminali.

Mario è il primo malato sardo di Sla a ottenere il provvedimento. «Un simbolo? No, forse è più giusto dire una cavia, ma va bene così e ringrazio giudice, avvocati e tutti quelli che mi hanno aiutato». Mario si prende in giro da solo mentre a fatica raggiunge la sala da pranzo dove i due figli con un cuginetto stanno giocando con l’I Pad: «Ajò, via andate a giocare fuori, che c’è il sole ed è bello stare all’aria aperta». Vorrebbe andarci anche lui, ma raggiungere la strada diventa ogni giorno più difficile.

La Sla, la malattia neurodegenerativa che porta progressivamente alla paralisi totale degli arti, sta cominciando a correre, togliendogli lentamente le funzioni motorie. Corre, la malattia, come correva lui per soddisfare le richieste dei clienti quando lavorava dietro il banco del bar del centro commerciale Auchan, a Predda Niedda, dove era rimasto fino a settembre, fino a quando le forze gliel’hanno permesso, fino a quando quella diagnosi così terribile non è stata confermata dalle analisi eseguite nei centri specializzati.

Mario Ruzzu ha 43 anni, due figli di 11 e 7 anni e una moglie, Tatiana che lavora nella residenza assistita San Nicola, a Sassari, ma che, grazie anche all’aiuto della sorella Monica, non l’abbandona neppure per un istante nella casa di via Lamarmora, nel cuore di Nulvi. Sono state le due sorelle a intraprendere la battaglia legale dopo aver letto le storie sull’utilizzo delle cellule staminali e aver scoperto che la terapia praticata dalla “Stamina foundation” di Davide Vannoni prevede la sperimentazione anche sui malati di Sla. Attraverso il titolare del bar (l’imprenditore sassarese Massimo Oppia) dove Mario lavorava (ma è come se ci lavorasse ancora perché i colleghi lo sentono tutti i giorni e vanno a trovarlo appena possibile), sono entrati in contatto con gli avvocati Giuseppe Manca e Denise Dedè. I legali, dopo aver studiato tutta la documentazione, non hanno perso tempo, predisponendo una dettagliata relazione sulla storia clinica del loro assistito nel ricorso d’urgenza presentato al Tribunale di Sassari. Ieri mattina, il giudice del lavoro, Francesca Lupino, ha sciolto la riserva. E accolto il ricorso «...disponendo la somministrazione della terapia con nella clinica dove viene praticato il metodo sperimentale della “Stamina foundation” e subordinando l’inizio del trattamento alla presentazione da parte di Mario Ruzzu del parere favorevole del competente Comitato etico».

«Abbiamo chiamato Brescia – ha spiegato la moglie di Mario, Tatiana Piredda – per prenotare la visita e i tempi si annunciano lunghi. Ma almeno abbiamo una speranza – ha continuato la ragazza, che guarda con affetto il marito, seduto all’altro capo del tavolo della cucina con indosso la maglietta simbolo della sua battaglia contro la Sla sulla quale è scritto: “Voi perdete tempo Noi perdiamo la vita” –. La nostra forza in questo momento sono gli amici. Li sentiamo vicini e non ci fanno mai sentire soli». «E poi Mario è forte – ha aggiunto quasi commuovendosi –, tenteremo di tutto, come abbiamo fatto finora, girando da una clinica all’altra».

Mario sorride. Con la mano sinistra, quella che ancora riesce a muovere senza eccessive difficoltà, smanetta sullo smartphone che lo tiene sempre vicino al mondo esterno. E racconta: «I primi sintomi un anno e mezzo fa quando ho cominciato a zoppicare. Pensai alla schiena, ipotesi rafforzata da problemi alle punte dei piedi e alle mani. Ma a un certo punto hanno cominciato a mancarmi le forze. Ho fatto miliardi di analisi fino a quando non è arrivato l’esito peggiore». «Ma non ho mai mollato e non mollerò – ha insistito Mario –. Ho lavorato finché ho potuto e ora ho avviato le pratiche per la pensione. Spero che all’Inps capiscano la mia situazione e siano disponibili: ho una famiglia. I miei figli giocano a pallone, prima li seguivo su tutti i campi, ora riesco a malapena ad andare a vederli a Nulvi. Perché non posso fare sforzi prolungati, dal momento che pare che la Sla corra più velocemente quando trova organismi debilitati. Faccio fisioterapia tre volte alla settimana e due volte vado in piscina a Viddalba, dove c’è la temperatura dell’acqua adatta per permettermi di fare gli esercizi». «Per il resto – ha concluso Mario con il suo solito disarmante sorriso e i grandi occhi neri che già parlano da soli – sto a casa: rispondo alle telefonate degli amici, leggo, faccio tutto quello che posso. Fino a quando la Sla me lo permetterà. Ora proviamo con le cellule staminali. È un tentativo, ma la resa non arriverà mai».

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