La Nuova Sardegna

L’avvocato Altea: «Ho convinto Mesina a non uccidere»

di Mauro Lissia
L’avvocato Altea: «Ho convinto Mesina a non uccidere»

Il legale arrestato nei giorni scorsi nella maxi operazione che ha riportato in carcere “Grazianeddu”, è stato interrogato in carcere e ha parlato dei rapporti con l’orgolese: "Voleva eliminare il trafficante Gigino Milia"

15 giugno 2013
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CAGLIARI. Graziano Mesina voleva ammazzare Gigino Milia, considerato il capofila della banda parallela di trafficanti di droghe. Il bandito di Orgosolo ce l’aveva con lui, voleva farlo fuori subito. Era l’estate del 2009 e il bandito di Orgosolo cercò con insistenza Corrado Altea, l’avvocato finito in carcere nell’inchiesta della Dda con trenta arrestati e nuovi indagati in vista. Ed è stato proprio il penalista originario di Arbus a raccontare, nel corso di un’esame di garanzia durato quasi cinque ore, quell’incontro dai contenuti forti avvenuto al chioschetto i Pini, sulla spiaggia del Poetto: «Mia moglie Silvia era terrorizzata - ha riferito Altea al gip Giorgio Altieri e al pm Gilberto Ganassi - perché Mesina, se lo guardate negli occhi quando è inferocito, sembra una tigre». Il contenuto del colloquio lascia poco spazio alle congetture: «Mesina - ha raccontato il legale - mi disse che aveva questioni con Gigino. Te ne parlo perché sei il suo avvocato, disse, io lo devo ammazzare. Dimmi dov’è, perché quando mi viene a trovare viene con la moglie e i figli, che mi mette davanti come scudo e io non posso ammazzarlo». Altea, così ha raccontato, cercò di mantenere il controllo: «Mi chiedeva dove si trovasse e io ho gabbato, ci siamo bevuti una o due birre, ho cominciato a dargli del tu, una cosa per avvicinarlo. Graziano, gli ho detto, io non voglio sapere che questione avete voi due, però se è una questione di interesse, soldi o altra cosa non grave se ne parla, capperi! Avete fatto quello che avete fatto insieme, si può risolvere». Altea ha fatto riferimento a una rapina compiuta negli Anni Settanta, Mesina e Milia insieme, a una bisca del temibile boss milanese Francis Turatello: «Ci vollero dei pazzi come loro... lo seppi perché me lo disse il portinaio di corso Sempione, la bisca era piena di stecche di sigarette e il portinaio, un po’ più furbo di loro, sapeva dove tenevano l’oro e gli orologi, lasciati in pegno dai giocatori. Fecero man bassa». Tornato al presente, Altea ha illustrato la sua opera di paciere: «Calmati un attimo, se sei disposto a ragionarci su ti porto Gigino dove vuoi, però risolvetela pacificamente, la questione». Sarebbe stato questo, secondo Altea, l’ultimo incontro con Mesina: «Da allora non l’ho più visto, né tantomeno ha ammazzato Gigino. Si è calmato, non so come abbiano risolto i loro rapporti». I magistrati gli hanno chiesto di precisare le ragioni di quella lite finita senza sangue. La risposta: «Mesina mi ha detto solo che erano questioni di tanti soldi che lui avanzava da Gigino».

Fin qui il rapporto Altea-Mesina, che per la Dda e per il gip Altieri è ampiamente provato come sodalizio d’affari tutt’altro che puliti. Ma nel corso di un monologo che copre undici delle venticinque pagine del verbale dell’esame di garanzia, l’avvocato - assistito dai colleghi Giuseppe Duminucu, Daniele Condemi e Jacopo Ruggero Porcu - ha cercato di chiarire uno per uno ciascuno dei rapporti sospetti che gli vengono attribuiti nell’ordinanza d’arresto. Con un dato generale di partenza: «Se tu vuoi essere l’avvocato dei grossi traffici (di droghe, ndr) ti devi prestare a questo gioco qui... io non mi sono prestato, ero un po’ ingolosito ma ho detto basta». La tesi difensiva è semplice: Altea era l’avvocato storico di Gigino Milia, trafficante conosciuto e temuto. Attraverso Milia il legale, arrivato in Sardegna dopo una lunga e lucrosa attività professionale in Lombardia, ha conosciuto altri personaggi della mala locale e nazionale. Da allora lavora borderline ma lavora e basta, segue le vicende giudiziarie per rimediare denaro, perché i clienti scarseggiano: «Ero arrivato a Cagliari a novembre del 1999 con un miliardo e centomila lire sul mio conto, me li sono fulminati». Poi sono arrivati i guai («subornato da Luigi Lombardini») e le conseguenti difficoltà: «Mi hanno veramente avvelenato - ha ricordato Altea, davanti ai due magistrati - poi ho superato questa forma di avvelenamento, dallo psicanalista non ci sono andato e ho cercato di reinserirmi chiedendo a Gigino. E guardate che cosa ho avuto». Quindi vittima del suo stesso cliente storico, di chi gli ha aperto la strada nei tribunali sardi per poi trascinarlo - così ha fatto capire - nella zona grigia tra professione e malavita: «Adesso ho capito - ha detto Altea ai giudici - dalla lettura dell’ordinanza ho capito che Gigino, approfittando della familiarità che aveva con me, mi ha strumentalizzato». Ma in realtà il rapporto era solo professionale: «Emerge chiaramente - ha sostenuto l’avvocato Condemi - che il collega non si è arricchito nell’attività, emerge che sia stato strumentalizzato e sia vittima di queste persone. Lui ha dato biglietti da visita, era certo di aver svolto attività di difensore».

Nei prossimi giorni il gip Altieri deciderà sulla richiesta di scarcerazione avanzata dai difensori: «Gli arresti domiciliari potrebbero essere troppo gravosi - ha aggiunto Condemi - perché l’avvocato Altea non può esercitare la professione. Deve tornare in libertà».

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