La Nuova Sardegna

Mesina boss della droga. Le intercettazioni: «Pagate o vi uccido»

di Valeria Gianoglio
Mesina boss della droga. Le intercettazioni: «Pagate o vi uccido»

Le registrazioni confermano il suo ruolo di capobanda. Il gip Altieri: «Ciarliero, si vanta delle sue imprese criminali»

11 giugno 2013
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NUORO. «Ciarliero, ben lontano dallo stereotipo del barbaricino taciturno, si vanta delle imprese criminali, stipendia i suoi collaboratori, dispone di armi», e per giunta, aggiunge il giudice preliminare arriva a «commentare negativamente il lassismo delle forze di polizia nel controllo sui giovani che fanno uso di stupefacenti». «Notazione quasi incredibile – aggiunge il giudice – da parte di chi per anni ha trafficato droga».

Nella montagna di intercettazioni che, insieme ad altri elementi, lo hanno convinto a firmare gli arresti di ieri, il giudice per le indagini preliminari, Giorgio Altieri, scrive il ritratto di un uomo tutt’altro che ravveduto. Un uomo, si legge, che non riesce «a dominare la propria indole criminale», che ama descriversi «come una persona di sani principi», e «si vantava continuamente delle proprie imprese criminose», ma non perché avesse «un’ìndole particolarmente estroversa», ma come «strategia attraverso la quale Mesina cerca di mantenere intatto e consolidare il proprio ascendente carismatico sui suoi uomini». Qui di seguito, un estratto di alcune delle intercettazioni.

«Cattivi pagatori». Il 14 marzo del 2012, pochi minuti dopo le 13, Graziano Mesina è sulla sua Porsche Cayenne insieme all’autista, Giovanni Filindeu. Mesina – scrive il gip nell’ordinanza di custodia cautelare – e racconta a chi gli è accanto, come è riuscito a recuperare il credito verso Vinicio Fois, descritto come “ il boss del quartiere Sant’Elia, a Cagliari”, e spiega anche allo stesso Filindeu, di aver avvisato “quelli del paese”, di non far più affari con i cagliaritani perché sono cattivi pagatori. Nel dialogo seguente, la M. sta per Graziano Mesina, la F. sta per Filindeu.

M.: Stava cercando di farmi entrare nel suo giro ... ho detto agli altri del paese “state attenti, non mettevi in mezzo a questa gentaglia ... che non si sa cosa vi può combinare” ... poi dalla volta che non pagava l’ho mandato a fare in culo! Gli ho preso il furgone e lo abbiamorinchiuso a Nuoro in un garage, poi sono venuti a riprenderselo.

F.: Dopo che hanno portato i soldi?

M.: E beh, e allora, e altrimenti non glielo restituitivo! Non gliene avrei restituito! Gli ho detto “Vieni con questi, eh! ... dieci giorni di tempo, gli ho detto ... dopo dieci giorni sono risceso, gli ho detto con me affari non ne fai più ... una volta si frega la gente, poi non si frega più.

Il “sequestro” del figlio. Il 27 marzo 2012, sempre nella Porsche Cayenne di Mesina, è intercettata un’altra conversazione ambientale tra Mesina e Giovanni Filindeu, che lo stesso gip definisce uno dei suoi “autisti tuttofare”. Mesina, scrive il gip, «racconta di una volta che aveva intenzione di uccidere Vittorio Denanni». Denanni è l’allevatore di Chiaramonti che aveva contratto un debito di 37mila euro con Mesina. «Mesina – scrive il gip – ne ottiene una parte, ventimila euro, andando a casa di Denanni, prendendo suo figlio e costringendolo a telefonare al padre per chiedergli di pagare subito. Il resto del debito, Mesina lo ottiene vendendo il bestiame di Denanni e incassando il ricavato. Di questo debito e dei problemi con Denanni, Mesina ne parla spesso anche con il suo tuttofare, Giovanni Filindeu. Lo si capisce nella seguente intercettazione. La M., sta sempre per Graziano Mesina.

M.: Eh ... ma io lo uccido per quello ... se non mi avesse visto quella notte, quello... sarebbe già morto. A quest’ora sarebbe stato sotto terra ... mangiato dai vermi».

Nel corso della stessa conversazione, Filindeu, accenna all’episodio del figlio di Denanni e dà del “voi” a Mesina.

F: Visto, avete, il giorno che gli avete fatto quella telefonata per il figlio, se ha fatto in fretta a portarveli, poi non è la fine del mondo ... quanto è diciassettemila?».

Il 6 aprile 2012, Graziano Mesina, torna sul “sequestro” del figlio di Denanni.

M.: Bisogna fare così: bisogna acchiappare il figlio, come ho fatto una volta e lui mi ha portato subito ventimila. L’indomani, eh! Gli ho detto al figlio: chiamalo. Ho detto al figlio: diglielo che sta rompendo i coglioni. Gliel’ha detto e poi me l’ha passato. Gliel’ho detto: domani li aspetto. E l’indomani me li ha portati.

«’Hi isperdo a tivi, eh?». Il debito che Vittorio Denanni aveva con Graziano Mesina, evidentemente, non si era ancora del tutto risolto. Tanto che il pomeriggio del 12 aprile 2012, scrive il gip, Graziano Mesina e Giovanni Filindeu, vanno a Chiaramonti da Denanni per obbligarlo a vendere il bestiame. Durante il viaggio di rientro, è registrata una conversazione tra i due orgolesi. Mesina, dice il gip, «racconta delle gravissime minacce che ha appena rivolto a Denanni, per costringerlo a pagare, e rievoca ancora l’episodio del “sequestro”.

All’interno dell’auto, scrive il gip, «prima della partenza, è registrata la esplicita minaccia di morte che Mesina rivolge a Vittorio Denanni, nel caso non avesse radunato il bestiame per mostrarlo ai venditori». Nel seguente colloquio, M. sta per Mesina, e D. sta per Vittorio Denanni.

M.: Su dinari, ’hi, aspetto dae tivi ... M’a narau ’ha udin tuoso. E as narau “Lor bendo”. (I soldi che aspetto da te ... mi hai detto che erano tuoi. E hai detto “Li vendo”).

D.: Si sun cussos! (Se sono quelli).

M.: A mesudie ainoghe enides? (A mezzogiorno venite qua?)

D.: Eja

M.: Las riunis torra. No mi ’a’hes ’ussu, mih, ’hi isperdo a tivi, eh? (Le riunisci di nuovo. Non farmi quello, guarda, che ti ammazzo, eh!).

D.: Mamma mia, cazzu!

«Che non siano Beretta». Nelle intercettazioni non ci sono solo riferimenti alla droga, alle estorsioni, agli scontri con i debitori: secondo il gip emerge anche la grande disponibilità di armi che avevano Graziano Mesina e il suo gruppo. Emerge una prima volta in due conversazioni del 9 e l’11 maggio 2012. In questa intercettazione, dice il giudice, «sono stati acquisiti gravi indizi che Giovanni Filindeu si sia recato a Sassari per prelevare due pistole, da destinare alla successiva vendita». La M. sta per Mesina, la F. sta per Filindeu.

F.: Dobbiamo andare per prendere un paio di queste oggi, perché le vogliono in paese.

M.: Guarda che non siano Beretta, che la voglio io, una

F.: Ah?

M.: Guarda che non siano Beretta nove per ventuno!

F.: No, sono una sette para, e una nove para.

L’11 maggio 2012. Mesina e Filindeu parlano sempre dentro la Porsche Cayenne. E da questa conversazione emerge che Mesina aveva, prima di cederli a ignoti acquirenti, tre fucili da guerra marca Beretta, modello F.A.L., calibro 7,62.

F.: Sta cercando un Fal ... quello lungo

M.: Ah!

F.: Come il vostro

M.: L’ho dato l’altro giorno io, uno. Lo hanno preso. Tre, se ne sono presi, due da prima, e anche questo.

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