La Nuova Sardegna

Il sogno nucleare del “mandarino” e il veto americano

di Piero Mannironi

Andreotti firmò l’accordo con Washington per la Maddalena in cambio di uranio per il sottomarino atomico made in Italy

07 maggio 2013
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SASSARI. Della base della Us Navy alla Maddalena Giulio Andreotti non amava parlare. Perché si sarebbe avventurato in un terreno per lui politicamente scivoloso. Era stato infatti il regista dell'accordo bilaterale firmato a Washington nel luglio del 1972 e che, in palese violazione della Costituzione, non era stato ratificato dal Parlamento. Poi, perché dietro lo sbarco dello Zio Sam in Sardegna si nascondeva una sua personale, bruciante sconfitta. E il "divino Giulio", per sua natura discreto, non ha mai amato parlare dei suoi fallimenti.

Per raccontare questo capitolo poco conosciuto della storia della base per sommergibili nucleari americani alla Maddalena, bisogna tornare indietro nel tempo, fino al 1959. Andreotti era allora ministro della Difesa ed era rimasto affascinato dalle ambizioni delle alte gerarchie militari italiane che volevano un programma nucleare. E in quel 1959 intervenne al Senato per annunciare che condivideva e sosteneva il sogno di generali e ammiragli: la costruzione di un sommergibile nucleare per il quale era già pronto il nome: il Guglielmo Marconi. Ne precisò perfino le caratteristiche: dislocamento 3.400 tonnellate, lunghezza 83 metri, larghezza 9,60, autonomia 12mila ore di moto. E cioè, circa un anno e mezzo di navigazione. Costo: 30 miliardi di lire di allora. Una cifra colossale.

C'era però un problema da superare. Problema non da poco: convincere gli Stati Uniti a fornire l'uranio arricchito per alimentare il reattore nucleare. Falco Accame, ex presidente della Commissione Difesa della Camera, ha la memoria lunga e ricorda che, il 22 dicembre del 1962, in occasione del varo dell'incrociatore Duilio, a Castellamare di Stabia, Andreotti disse: «Noi desideriamo portare avanti al più presto il progetto della costruzione di un sottomarino nucleare italiano che andrà incontro alle aspirazioni di fondo della nostra Marina e rappresenterà altresì un passo in avanti verso quel progetto tecnico a cui tutti dobbiamo cooperare».

Ma agli americani non piacevano molto i progetti della Marina italiana. Si sviluppò una trattativa segreta che portò a un sostanziale cambiamento del "programma nucleare" italiano. E infatti Andreotti, il 18 settembre 1963, in Parlamento parlò dell'impegno "a realizzare un'unità di superficie a propulsione nucleare, primo passo verso la costruzione del sommergibile atomico, che resta l'obiettivo finale".

Il più fiero oppositore del programma nucleare "made in Italy" era l'ammiraglio statunitense Hyman Rickover, l'ideatore dei sommergibili atomici statunitensi.

Nel 1964 Andreotti disse al Corriere della Sera che dall'originario progetto del sommergibile si era passati all'idea «di una nave civile-militare a propulsione nucleare che si sarebbe chiamata Enrico Fermi». Anche qui furono presentati i dati tecnici: 18mila tonnellate, 174 metri di lunghezza e una velocità di 20 nodi.

Niente da fare: Rickover fu irremovibile e bocciò anche questa ipotesi. I militari italiani si rivolsero allora ai francesi, con i quali dal 1961 esisteva un progetto di collaborazione per la produzione di uranio arricchito per uso civile negli impianti di Pierrelatte. Ma gli americani ci misero lo zampino "avvelenando" la trattativa. E così non se ne fece niente.

Nel 1966, l'allora ministro della Difesa, il socialdemocratico Tremelloni, cercò di alleggerire le pressioni dei militari cercando diplomaticamente di esaltare soprattutto gli aspetti civili della ricerca nucleare. Ma Andreotti lo gelò con una battuta folgorante: «Anche il cannocchiale di Galileo è nato da una commessa militare, ma l'umanità ne ha avuto benefici immensi».

Il problema politico vero era dunque quello di convincere gli americani a togliere il veto. Andreotti cominciò così a tessere i fili di una diplomazia segreta con Washington, mettendo sul tavolo della trattativa la concessione alla Us Navy di una base alla Maddalena. Ironia della sorte, proprio per sommergibili nucleari. È in questo contesto che nacquero gli accordi del 1972. Quasi una sorta di "regalo" per ammorbidire le diffidenze. Ma gli americani non onorarono l'impegno e passarono all'Italia alcuni sommergibili convenzionali ormai in odore di dismissione. Alla fine nei nostri mari hanno sì navigato i sommergibili nucleari, ma con la bandiera a stelle e strisce.

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