La Nuova Sardegna

Rinnovabili, è il solito far west

di Umberto Aime

Convegno a Cagliari: senza un piano energetico regionale è impossibile programmare il futuro

09 aprile 2013
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CAGLIARI. Sviluppo, ecologia, posti lavoro e finanziamenti: le energie rinnovabili hanno tutto, sembrano l’affare del secolo. Lo dicono in molti, e nell’isola il trend è di quelli che fanno gridare al miracolo. Eolico, biomasse, fotovoltaico e termodinamico: da anni la Sardegna è un laboratorio ed è persino esagerato. Sa molto, troppo, di far west, in cui è spesso difficile distinguere fra buoni e cattivi, bravi e furbetti. Ancora una volta è colpa della politica e del suo storico vizio: zero programmazione. Dal 2006 manca un piano energetico regionale, le regole continuano a essere incerte, la trasparenza anche e così in agguato ci sono gli speculatori. «L’isola è uno dei fronti più caldi in Italia», ha detto Stefano Ciafani, vicepresidente nazionale di Legambiente nell’aprire il confronto organizzato dalla sezione Sardegna dell’associazione su «energie da fonti rinnovabili e chimica verde». Il boom è sotto gli occhi di tutti, con Comuni che subiscono la conquista e altri invece pronti a guidare la sommossa. «Sempre più – ha detto ancora Ciafani – serve un approccio corretto. Sono da evitare le maglie troppo larghe, ma anche quelle strette possono essere esagerate: quello delle rinnovabili è un fenomeno inarrestabile». Va però spiegato, fatto capire alla comunità, e può essere utile anche la strategia di farlo accettare in cambio dei posti di lavoro che porterà, ma non basta. Gli impianti eolici sono sempre più un pugno nell’occhio, dovunque siano tirati su i «campanili» di pale e rotori. Lo stesso vale per il termodinamico solare, la novità, che «può spaventare, ma non è certo il nucleare», hanno detto gli esperti convocati da Legambiente. Oppure fanno paura le distese di pannelli fotovoltaici spacciate per serre futuribili ma che, alla fine, tappezzano solo le campagne e non producono neanche un chilo di carote, perché sotto il tetto ad alta tecnologia, non c’è un metro coltivato. Però è questa la nuova frontiera, quella che – come ha detto Francesco Ferrante, vicepresidente del Kyoto club, «dobbiamo saper governare se vogliamo liberarci dall’essere dipendenti dal carbone e dal petrolio». Dunque, bisogna saper governare bene il processo, ed è per questo che «la politica non può andare avanti di proroga in proroga», ha aggiunto. «È necessario uscire dall’incertezza», sono state le parole di Vincenzo Tiana di Legambiente Sardegna, «altrimenti getteremo a mare anche i sicuri benefici delle rinnovabili e della green economy». Ma anche ieri, alla tavola rotonda coordinata dal giornalista Pablo Sole, si sono presentati ricercatori, Confindustria e progettisti, non la Regione: assente ingiustificato. Così, in corso d’opera, l’assessore di turno si è perso anche l’idea dall’Associazione nazionale per l’energia solare termodinamica, l’Asnet, che col presidente Gianluigi Angelantoni ha detto: «Noi siamo pronti a proporre alla Regione la nostra Carta del sole. Certo, noi la vorremmo sviluppare in Sardegna, ma vogliamo condividerla col territorio. I vantaggi della Carta sono innegabili: cominciamo con i 600 posti di lavoro per costruire e poi far marciare un impianto da 200 megawatt, oppure i 700 milioni di fatturato destinati all’economia locale a fronte di un investimento attorno al miliardo e 200 milioni». Sono numeri eccellenti che fanno gola in un periodo di crisi come questo. Resta da capire quali possibilità esistono di uscire dall’attuale confusione. Ed è per questo che Bruno D’Aguanno del Crs4 ha sottolineato: «Ci sono progetti bocciati e altri approvati ma non c’è chiarezza sulle strategie e le necessarie valutazione d’impatto ambientale». Ad esempio il progetto Sorgenia, a Macchiareddu, è stato bocciato, mentre per quello presentato da Enas, a Ottana, il giudizio è stato positivo. Ci sono in ballo anche i tre impianti dell’Energo Green: uno è a Cossoine, sospeso a causa della protesta popolare, un altro a Villasor, il terzo a Gonnosfanadiga finiti in una sorta di limbo. Poi c’è quello di Vallermosa presentato dalla Sardinia Green Island, società del presidente di Confindustria, Alberto Scanu, che continua a essere in bilico e nel frattempo ha portato alla fame 90 operai da mesi senza stipendio. Ed è stato proprio il portavoce degli imprenditori a rilanciare l’appello alla Regione: «Il futuro di un investimento, nel nostro caso sono 250 milioni, non può essere fatto prigioniero dal libero arbitrio di questo o quel funzionario. Chi vuole fare impresa, ha il diritto di sapere, in tempi brevi, se può aprire o no un cantiere. È inammissibile essere a vita ostaggio della burocrazia». Uno sfogo scatenato forse anche dall’invidia dopo quanto annunciato da Marco Versari della Novamont, uno dei partner di Matrìca, la chimica verde a Porto Torres: «Siamo in dirittura d’arrivo. Nel primo trimestre del 2014 cominceremo a produrre la materia prima, i cardi, per la centrale alimentata da biomasse». Invece per tutti gli altri il cammino è ancora lungo.

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