La Nuova Sardegna

Montalbo, via al risanamento delle cave

di Paolo Merlini
Montalbo, via al risanamento delle cave

La cementeria Buzzi Unicem sta gradualmente ripristinando le aree della montagna da cui è stato estratto il calcare

05 dicembre 2012
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INVIATO A SINISCOLA. «Non va mai dimenticato che non esiste una cementeria a impatto ambientale zero, tanto più se è stata pensata nei primi anni Settanta, quando esisteva un approccio del tutto diverso verso la salvaguardia della natura. Nonostante ciò anche in un settore così delicato è possibile, se si rispettano le norme che sono via via più severe, ottenere risultati soddisfacenti dal punto di vista del ripristino ambientale». Direttore della cementeria di Siniscola dal 1983, Pietro Bellu fa una doverosa premessa sul piano di ripristino delle cave nel Montalbo che lo stabilimento sardo Buzzi Unicem, uno degli undici del gruppo nell’intero territorio nazionale, sta portando avanti ormai da più di cinque anni. Una volta terminato il ciclo produttivo, sui “gradoni” dai quali è stato estratto il calcare vengono piantate essenze analoghe a quelle preesistenti, così da formare nell’arco di alcuni anni una situazione certo non uguale all’originaria, ma comunque il più possibile in armonia con l’ambiente circostante. Un ambiente, va detto, del tutto straordinario, qual è appunto il massiccio calcareo del Montalbo, dichiarato dall’Unione Europea sito di interesse comunitario nel 1997. Esteso tra i territori di Lula, Lodè e Siniscola, ospita numerosi endemismi vegetali e animali. Al suo interno splendide grotte (in passato le tra prigioni preferite dell’Anonima sequestri) e fiumi sotterranei.

La crisi. Lo stabilimento Buzzi Unicem, dove si svolge il ciclo completo di produzione del cemento, dunque dall’estrazione dalle cave a 600 metri d’altezza alla lavorazione negli impianti in pianura, si estende su un’area di venti ettari. Fornisce unicamente il mercato isolano e deve fare i conti con la crisi economica che pesa in modo particolare sull’edilizia. Attualmente gli impianti, intesi come cave e forni, funzionano al 50 per cento, talvolta anche meno. La produzione, che negli anni d’oro ha raggiunto 430mila tonnellate l’anno tra cemento e clinker, oggi si attesta intorno alle 180mila tonnellate. Il fatturato è andato di pari passo: dal tetto di 22 milioni di euro è sceso attorno agli 11 milioni. La crisi economica si è fatta sentire in particolare nel 2011, e anche il 2012 sarà un anno da dimenticare. Nonostante ciò, e l’evoluzione tecnologica che nel tempo ha introdotto profondi mutamenti, Buzzi Unicem, che acquisito lo stabilimento dal gruppo Fiat nel 1998, ha cercato di mantenere i livelli occupativi. Oggi a Siniscola lavora una sessantina di dipendenti, ai quali si somma l’indotto, circa novanta lavoratori, costituito in maggioranza da padroncini, cioè gli autotrasportatori, che hanno un rapporto continuativo con la cementeria, in qualche caso sin dalla sua nascita.

Gli anni 70. La Cenu, Cementi Nuoresi spa, nasce nel 1972. Due anni dopo comincia la costruzione dello stabilimento, ma bisognerà attendere il 1977 per l’inizio della produzione. Pietro Bellu arriva nel 1980 (torna, è meglio dire, visto che è siniscolese), fresco di laurea in chimica all’università di Perugia, e appena tre anni dopo è già direttore, carica che ha conservato sino a oggi nonostante gli avvicendamenti proprietari. La cementeria sotto la sua guida ha già eseguito un’opera di valorizzazione ambientale vent’anni fa, con la forestazione di un’area a valle attorno alle case del personale.

Il progetto di ripristino nel Montalbo è cominciato nel 2006, con un primo “gradone”. Premessa ovvia ma necessaria: produrre cemento non è come coltivare violette, ha necessariamente costi ambientali. Occorre interrogarsi piuttosto perché negli anni ’70 sia stata individuata come zona d’estrazione un’area così straordinaria dal punto di vista naturalistico. All’epoca Siniscola inseguiva il sogno industriale: tanti anni e altrettanti fallimenti dopo, dalla Solis alla Legler, la cementeria è l’unica realtà ancora in vita.

L’ex Sardocalce. Nelle cave c’erano precedenti importanti, come la Sardocalce dell’ingegner Tondi. Passata in mani sbagliate, e ridotta a produrre un materiale povero come sabbia per cemento, la cava Sardocalce, in parte abusiva, è abbandonata da anni. Una ferita nel Montalbo di proporzioni enormi (circa 200 metri d’altezza per 300 di larghezza) che nessuno si preoccupa di risanare nel silenzio di ambentalisti e politici.

Alla Buzzi Unicem, che lavora su proporzioni decisamente maggiori, le cose sono andate in maniera diversa. I “gradoni” anzitutto, non hanno un’altezza superiore ai 15 metri. Questo significa che, una volta terminata l’attività estrattiva, vengono colmati con diversi metri cubi di terra, ricreando una pendenza simile all’originaria, e successivamente vengono piantate (in collaborazione con l’Azienda forestale, spiega il direttore delle cave Gianfranco Mozzi), specie tipiche della macchia mediterranea: corbezzolo, rosmarino, lentischio, ma anche olivastri, lecci. I tempi di ripristino non sono rapidi, ma neppure biblici: l’area a 600 metri d’altezza che si vede in queste foto, per esempio, fra quindici anni al massimo sarà tutta verde, assicurano alla Buzzi Unicem. L’altro fronte è lo stoccaggio del calcare: ora si nota una lunga scia sul fianco della montagna, ma in futuro il materiale da lavorare sarà conservato tutto nel silos a valle. I costi? «Solo quest’ultima operazione costerà un milione di euro – dice Bellu – e sono interamente a carico dell’azienda».

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