La Nuova Sardegna

Archeologia, a Ottana scoperta un’industria preistorica

Antonello Sechi
Archeologia, a Ottana scoperta un’industria preistorica

Ritrovata un’enorme quantità di utensili risalenti a centinaia di migliaia d’anni fa, da riscrivere molte pagine del passato

14 ottobre 2012
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OTTANA. La chiamano “industria” ed è curioso che l’abbiano trovata in un punto da cui si vedono le due grandi ciminiere della centrale elettrica di Ottana, diventate prima il simbolo della modernità e ora della desolazione e del lento smottamento verso quella che per alcuni potrebbe diventare una nuova preistoria. Curioso e straordinario: perché l’industria litica lì scoperta dai paleontologi della sede nuorese della Soprintendenza archeologica di Sassari e Nuoro risale a una data tanto lontana che è anche difficile da immaginare. E che apre una nuova fantastica pagina nella conoscenza della storia dell’isola: le tracce più antiche di presenza umana, finora confinate in Anglona, tra Perfugas e Laerru, si spingono molto più a sud, nel centro della Sardegna.
È un vero scoop scientifico.In un periodo compreso tra 700mila e 100mila anni fa, in quello che per i paleontologi è il Paleolitico inferiore e per i geologi il Pleistocene medio, nella piana che molti anni dopo sarebbe stata la culla del sogno industriale fallito della Sardegna centrale, gruppi di individui del genere “Homo”, probabilmente erectus, lavoravano pietre vulcaniche per farne grattatoi, schegge e altri utensili che utilizzavano per cacciare animali, lacerarne la pelle e la carne, scorticare frutti e radici, fabbricare qualcosa con cui ripararsi dalle intemperie e proteggere le grotte in cui vivevano. A Ottana sono stati trovati circa tremila manufatti, una «quantità impressionante», molti di più dei 6-700 scoperti a cavallo del 1980 in Anglona.
La straordinaria scoperta è di qualche tempo fa ed è rimasta confinata nei magazzini e nel ristretto mondo degli specialisti. Ora, senza enfasi, la sede nuorese della soprintendenza ha deciso di metterla a disposizione di tutti. Due vetrinette, una selezione di una di cinquantina di pezzi, alcuni pannelli esplicativi, una piccola mostra che ha come titolo “Dai vulcani ai manufatti: il Paleolitico di Ottana”.
Chi entra nel museo archeologico nazionale di Nuoro, ospitato nello storico palazzo che fu la residenza di Giorgio Asproni, da qualche giorno scopre con stupore la grande novità scientifica rappresentata da quei pezzi scheggiati di vulcanite dal colore vagamente rossiccio. A guardarli dalla vetrina permanente di fronte, nella sala che ospita la sezione paleontologica, c’è anche l’espressione buffa di “Remedia” come paleontologi e archeologi hanno ribattezzato affettuosamente la scimmietta fossile, che insieme a resti di animali canidi, bovidi, cervidi come il Megaceros cazioti e quella specie di coniglio che era il Prolagus sardus illustra il passato più lontano del Nuorese, scoperto tra gli altri fra le rocce calcaree del monte Tuttavista, a Orosei, e nella grotta Corbeddu di Oliena.
«Nei limiti del possibile intendiamo rivitalizzare il museo divulgando un po’ alla volta le novità della ricerca», spiega con understatement sornione, davanti alla vetrina, Antonio Sanciu, responsabile della sede nuorese della soprintendenza.
A illustrare la scoperta fatta a Ottana è, invece, la paleontologa Nella Tuveri, che ha studiato l’industria ottanese con Pino Fenu e Omar Filippi dell’Università di Siena, Mario Asole e Marisa Arca della soprintendenza di Sassari e Nuoro. «È stato un ritrovamento casuale della Soprintendenza – spiega con semplicità – A Ottana in passato era stato fatto un censimento, ma il sito in questione non era stato visto. I manufatti trovati sono tantissimi, alcune migliaia. Hanno utilizzato la riolite, una pietra vulcanica che ha avuto origine nell’Oligocene, trenta milioni di anni fa. Insieme a grattatoi, raschiatoi e denticolati, ci sono anche nuclei di pietra di cui era stata cominciata la lavorazione e schegge. Trattandosi di un ritrovamento di superficie non ci sono resti animali o vegetali ma tutto lascia pensare che siamo nel Paleolitico inferiore».
La datazione è culturale, come quella di Perfugas. Il ritrovamento di superficie indica che la piana di Ottana non doveva essere troppo diversa da quella dei giorni nostri, almeno nella morfologia. In una zona a nord dell’abitato che non viene indicata con precisione per ragioni di tutela, dunque, viveva qualcuno che aveva scoperto che quella pietra rossiccia, battuta opportunamente (come ha dimostrato l’archeologia sperimentale) poteva trasformarsi in utensili utili per catturare animali, nutrirsi e proteggersi da un mondo ostile.
Chi erano questi uomini? E da dove arrivavano? L’ipotesi, fatta dopo i ritrovamenti di Perfugas, è che, inseguendo la fauna migratoria di cui si nutrivano, siano arrivati dal continente attraverso quello che oggi è l’arcipelago toscano e la Corsica, allora unita alla Sardegna. Che non potessero essersi fermati in Anglona era un’ipotesi ovvia. Ma non c’era certezza, a parte alcune segnalazioni sparse, come quella che riguarda Sardara. Il ritrovamento di Ottana, che la soprintendenza archeologica ha reso finalmente disponibile, dimostra che anche la Sardegna centrale in quell’epoca antichissima era popolata. Tra le tante cose da capire, resta un mistero che cosa sia successo dopo. Perché a un certo punto – spiegano i paleontologi – spariscono tutti: uomini e animali.
Quelli che verranno molto più tardi, nel Paleolitico superiore, gli homo diventati sapiens di cui sono state trovate tracce nella valle di Lanaitu, vissuti più o meno 30mila anni avanti Cristo, non hanno niente a che fare con chi li ha preceduti. Unica eccezione, forse, tra gli animali: il prolago. Ma questa è un’altra storia.
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