La Nuova Sardegna

Referendum, presentato il ricorso: entro martedì il verdetto

di Giovanni Bua
Referendum, presentato il ricorso: entro martedì il verdetto

L’Unione Province deposita il nuovo ricorso in tribunale, rissa verbale tra Deriu e Cappellacci. Segni e Parisi: la politica così fa schifo

22 aprile 2012
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SASSARI. È guerra aperta sul referendum. Con tutte le carte ancora sul tavolo. E, da ieri mattina, anche negli uffici del tribunale di Cagliari. Dove, come promesso, e “consigliato” dal Tar, il presidente dell’Ups (e della Provincia di Nuoro) Roberto Deriu ha presentato ricorso contro quattro dei dieci referendum per i quali si dovrebbe votare il prossimo 6 maggio, quelli sull’abolizione delle Province .

Condizionale d’obbligo visto che il tribunale già lunedì, o al massimo martedì, dopo aver assegnato il ricorso a una delle sezioni, potrebbe decidere di “sospendere” il voto fino a quando non avrà modo di pronunciarsi nel merito delle opposizioni dell’Ups.

Una mossa annunciata, cosa che non ha evitato però il riaccendersi delle polemiche tra il governatore Cappellacci e Deriu («È il colpo di coda del Gattopardo, speriamo l’ultimo», «la smetta di travestirsi da Masaniello, visto che rappresenta il massimo potere in questa isola infelice»). Né ha bloccato l’iniziativa del comitato dei referendari, che ieri mattina al Grazia Deledda a Sassari hanno calato i loro pezzi da novanta: Mario Segni e Arturo Parisi.

E i due leader referendari sassaresi, pur guardandosi bene dall’entrare nella polemica storico-politica tra il presidente della Provincia di Nuoro e il governatore, non si sono certo risparmiati. «La politica è una cosa stomachevole – ha attaccato Segni durante il dibattito a cui, tra gli altri, sono intervenuti anche cui i consiglieri regionali Franco Cuccureddu (Mpa) e Mario Bruno (Pd) – fa proprio schifo. E una delle poche cose che hanno a disposizione i cittadini per cambiarla sono proprio i referendum. Dispiace che la Corte costituzionale non abbia fatto votare i cittadini in quello contro il Porcellum. Ma ora in Sardegna abbiamo la possibilità di andare alle urne. E cancellare questo errore, da tutti riconosciuto, delle otto province. È importante infondere ai sardi un segnale di speranza, in un Paese che complessivamente sta perdendo anche quella. Se si raggiungesse il quorum e vincessero i sì, i sardi riuscirebbero a realizzare ciò che in parlamento non si è mai fatto».

Durissimo anche l’ex ministro della Difesa Arturo Parisi: «Il punto non è tanto il merito dei referendum, che comunque perseguono nobili obiettivi. Espandere il potere politico dei cittadini, rimettendo in testa il livello a loro più vicino, e che meglio funziona, quello municipale. E ridurre i costi della politica dei politici. Il punto è riconquistare la fiducia dei cittadini. Non arretrare in un momento in cui la casa brucia. Perché in questi momenti la democrazia o cresce o viene meno. Tutti abbiamo fatto errori, gli stessi cittadini ne hanno fatto. Ma se i partiti perdono questa occasione di fare politica, di farla, come diceva don Milani, per uscire insieme dai problemi, le conseguenze potrebbero essere drammatiche. Partiamo in ritardo, ma sull’onda di una rabbia che vogliamo trasformare in entusiasmo. E ce la possiamo fare».

La partita appare complessa, anche perché i citati partiti (Riformatori e La Base a parte), al di là di dichiarazioni singole, si guardano bene dal prendere posizione sui referendum. E, negli ultimi dieci anni, l’unica consultazione che nell’isola ha raggiunto il quorum, è quella sul nucleare dello scorso anno. “Aiutata” non poco dallo tsunami che ha travolto la centrale di Fukushima.

E comunque su 4 dei 10 quesiti pende la spada di Damocle del tribunale civile di Cagliari. «Rivolgersi al tribunale è contrario a un interesse collettivo che riguarda sia i favorevoli al sì che al no», attacca Cappellacci. «Vogliamo il responso di un giudice su atti che riteniamo illegittimi – conclude Deriu – e lo facciamo per coloro che ci hanno eletti, per la nostra coscienza e il nostro senso di legalità. Inutile invocare il rispetto di questi valori da parte di chi fa di tutto per dimostrare di non possederli».

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